Tra marmi carnali e pitture cosmiche: la mostra di Mikayel Ohanjanyan e Linda Carrara a Milano
Parte da un testo di Plinio il Vecchio la mostra bipersonale dell’italiana Linda Carrara e dell’armeno Mikayel Ohanjanyan alla galleria Building di Milano, che indaga il lato prodigioso del mondo naturale
La Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (23 -79 d.C.) non ci mostra una natura come oggi l’intendiamo ma come un regno di prodigi, di incroci, di contaminazioni: e in questo senso mi pare che l’abbiano intesa i due artisti, Mikayel Ohanjanyan (Yerevan, 1976) e Linda Carrara (Bergamo, 1984), che si sono avvalsi del titolo di questo antico trattato per esporre la loro idea, rispettivamente, di scultura e di pittura, nella doppia personale attualmente in corso alla Galleria Building di Milano.
Mikayel Ohanjanyan e il marmo in mostra a Milano
Se è vero, come ha detto Jean Clair, che la pietra, e in particolare il marmo, ha una fisiologia nascosta, una recondita sostanza carnea, Mikayel Ohanjanyan, che non a caso tiene dimora e studio non lontano dalle cave di Carrara, sembra voler recuperare proprio questa carnalità dell’elemento minerale, che sotto le sue mani acquista una consistenza malleabile, facendo mostra di una plasmabilità e vulnerabilità da organismo vivente. Artista inedito per Milano, sebbene possa vantare diverse apparizioni italiane e un Leone d’Oro conquistato come esponente del padiglione armeno per la migliore partecipazione nazionale alla Biennale veneziana del 2015, questo artista ha messo al centro della sua ricerca l’idea di “legame”, inteso come valore primario in una società contemporanea fondata sulle divisioni e i contrasti.
La pratica artistica di Mikayel Ohanjanyan
Se questa è l’idea, le sue materie sono il marmo o il basalto, oltre che cavi d’acciaio: la pietra subisce una coartazione, si mostra tenera e arrendevole, i cavi la costringono e la piagano, cosicché il risultato è quello di una tensione, di una consistenza muscolare dei diversi blocchi minerali, ora fattisi lacerti anatomici, disiecta membra da ricucire. La natura è vista come un insieme infinito di elementi frammentati e disseminati: compito dell’artista è affrontare le cesure, rinsaldare le fratture evidenziando la sutura, il legame appunto, nello sforzo di tenere uniti elementi separati e divergenti. La giunzione è però sforzo, piaga, costrizione, il legame è pur sempre un tentativo mai raggiunto di ricostituire un’unità perduta, ma è proprio in questa tensione, in questo mostrare i cedimenti dell’epidermide lapidea, che la scultura trova la sua verità più profonda.
La pittura di Linda Carrara a Milano
Per Linda Carrara la natura diviene un riferimento quasi trascendente, attraverso una concezione della pittura (non necessariamente eseguita con mezzi strettamente pittorici) che, indagata attraverso le sue declinazioni storiche, i suoi generi consolidati e le sue tecniche canoniche, va in cerca di valori che travalichino la sua apparenza fisica immediata. Prendiamo, ad esempio, il polittico Fasi Lunari (2024), otto lunghi cartoni bianchi, esposti affiancati e provvisti di ampie aperture circolari: essi non fanno che perpetuare la tradizionale presentazione di un “tondo” definito da un passe-partout.
Le visioni astronomiche di Linda Carrara in mostra da Building Gallery
In questo caso i tondi sono eseguiti con l’ultra-sperimentata tecnica del frottage; ma essendo le aperture nei singoli cartoni situate a varie altezze regolarmente crescenti e decrescenti, questi frottages diventano qualcosa di più che dei dipinti astratti incorniciati: eccoli ora evocare visioni astronomiche, ritmi cosmici, mappe astrali… E se pure lei ricorre al marmo, come nei tre “soli”, esso (non diversamente dai finti marmi oggetto delle sue passate ricerche) rivela quelle corrispondenze nascoste evocate da Roger Callois, e quella figuralità di cui parla Didi-Huberman, e si ricollega agli altri lavori esposti, le pitture speculari “schiacciate” (Il funzionamento del pensiero, 2024), le grandi stampe digitali sdoppiate, liquefatte e saturate di un cromatismo ultraterreno (La struttura del reale, 2024): per usare le sue parole “Sono il rimando a una sacralità della materia stessa, alla carne divina, sono l’accesso all’aldilà…”.
Alberto Mugnaini
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