“La pittura? È inesauribile”. Intervista al curatore Damiano Gullì 

Una carriera nella Triennale di Milano, una particolare attenzione al medium pittorico contemporaneo e molto altro: il curatore Damiano Gullì racconta il suo lavoro e i suoi progetti passati, presenti e futuri in questa intervista

Sono passati diversi mesi dalla chiusura della mostra Pittura italiana oggi, importante rassegna che riuniva 120 pittori del nostro Paese nelle sale della Triennale di Milano per fare il punto su un medium spesso dato per moribondo. Il curatore dell’istituzione milanese Damiano Gullì (Fidenza, 1979) ha voluto dimostrare il contrario e, nei mesi successivi, il suo lavoro è proseguito, con altre mostre in grado di caratterizzare la Triennale come uno dei maggiori poli di sviluppo dell’arte contemporanea all’ombra della Madonnina e non solo. L’abbiamo intervistato per scoprire i progetti in corso e quelli in arrivo, ma anche per chiedergli un parere sullo stato di salute della pittura e, più in generale, del sistema dell’arte. 

Nico Vascellari, Falena, installation view alla Triennale di Milano. Photo © Gianluca Di Ioia
Nico Vascellari, Falena, installation view alla Triennale di Milano. Photo © Gianluca Di Ioia

Intervista a Damiano Gullì 

Da aprile 2022 sei curatore per l’arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Quali passi hai compiuto prima di arrivare a questo ruolo? 
Subito dopo la laurea ho iniziato un Master in Organizzazione e comunicazione delle Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Brera, che, nella sua fase finale, prevedeva uno stage in una istituzione italiana. Io scelsi Triennale affascinato dalla sua storia, caratterizzata da un costante intreccio tra gli ambiti disciplinari. Dal 2010 al 2018 mi sono occupato più specificatamente di quello che era la prima versione del Museo del Design Italiano e mi sono così maggiormente avvicinato alla curatela, alla stesura di testi e alla redazione di cataloghi. Sono in seguito diventato Assistant Curator dell’allora Direttore del Museo del Design Italiano, Joseph Grima, e Head Curator del Public Program di Triennale. Parallelamente al lavoro in Triennale ho svolto attività di curatela indipendente e ho iniziato a collaborare in maniera continuativa con riviste come Flash Art, Artribune, Inventario e, più di recente, Interni. La scrittura rappresenta una parte molto importante nella mia pratica. 

Per Triennale hai curato diverse mostre: com’è cambiato l’approccio di Triennale all’arte contemporanea dall’inizio del tuo mandato? 
Come dicevo prima, per sua storia e missione Triennale ha sempre avuto la capacità di lavorare su ambiti disciplinari diversi promuovendo nuovi scambi e dialoghi tra le discipline stesse. E l’arte è sempre stata presente in Triennale, basti pensare alla Mostra della pittura murale del 1933, che è stata lo spunto di ispirazione per Pittura Italiana Oggi, realizzata in occasione delle celebrazioni del centenario dell’istituzione e da me curata. In tempi abbastanza recenti mi piace ricordare mostre come Arte Povera e Arts and Foods, entrambe a cura di Germano Celant, o Ennesima, a cura di Vincenzo De Bellis. Nel momento in cui è mi è stata data la possibilità da parte del Presidente Stefano Boeri e della Direttrice Generale Carla Morogallo di ricoprire il ruolo di curatore per l’Arte contemporanea, una prima domanda che mi sono posto è stata: “Come fare a raccontare il contemporaneo in una città come Milano, dove ci sono molte istituzioni che lavorano in questa direzione?”.  

E che risposta ti sei dato? 
Ho provato a capire quello che potesse essere un elemento distintivo e caratterizzante per Triennale e, sicuramente, l’ibridazione tra linguaggi e discipline lo rappresenta. Insieme a questo, la volontà, senza scivolare nel campanilismo – perché Triennale è e resta un’istituzione di respiro internazionale –, di analizzare il panorama italiano e offrire ad artiste e artisti un luogo in cui esprimersi e raccontarsi attraverso il proprio lavoro. Penso sia responsabilità dell’istituzione contribuire a creare occasioni di promozione e valorizzazione per rafforzare e legittimare questa scena in Italia e all’estero.  

Anna Franceschini, All Those Stuffed Shirts, installation view at Triennale Milano, 2023. Photo Andrea Rossetti
Anna Franceschini, All Those Stuffed Shirts, installation view at Triennale Milano, 2023. Photo Andrea Rossetti

I progetti della Triennale di Milano 

Hai parlato di valorizzazione: in che modo si manifesta l’impegno di Triennale da questo punto di vista? 
Ad esempio attraverso i talk dedicati alle nuove generazioni di artisti e a quelli mid-career (Giulia Cenci, Diego Marcon, Ruth Beraha, Giulia Mangoni, Stefano Caimi, Jacopo Benassi, Gianni Caravaggio sono solo alcuni dei tanti), le collaborazioni con magazine come Zero, Flash Art, Frankenstein e King Kong, la presentazione di opere a rotazione negli spazi della caffetteria – con Lorenzo Vitturi, Alice Ronchi, Luca Staccioli –, gli screening di film su artisti come Ettore Spalletti, Maria Lai, Lucia Pescador e Marcello Maloberti o di nuovi lavori di MRZB, Rä di Martino, Anna Franceschini e The Cool Couple o, ancora, l’indagine sul rapporto tra immagini in movimento, materiale d’archivio e suono, a cura di Alina Marazzi. E ovviamente le mostre: da Corrado Levi a Lisa Ponti, da Mariella Bettineschi a Franco Mazzucchelli, da Marcello Maloberti ad Anna Franceschini, da Francesco Vezzoli a Nico Vascellari, Gianni Politi e Davide Allieri. E, ovviamente, Pittura Italiana Oggi.  

E poi? 
E poi collaborazioni come quelle con miart, Italics, Spazio Taverna e con l’Ufficio Arte negli Spazi Pubblici del Comune di Milano, il sostegno a progetti dell’Italian Council, quali Ritratto di città dei Masbedo, a cura di Cloe Piccoli, e il libro Skank Bloc Bologna: Alternative Art Spaces Since 1977 di Roberto Pinto e Francesco Spampinato. Mi piace l’idea di rafforzare le collaborazioni in maniera rizomatica e di creare una continuità nel rapporto con gli artisti seguendo gli sviluppi dei loro progetti e non limitandosi a seguirne uno singolo, che si esaurisca nel solo momento di presentazione al pubblico, trasmettendo così l’idea che Triennale sia un luogo sempre pronto ad accoglierli. In quest’ottica si inserisce anche il lavoro sull’implementazione della nostra collezione che si è arricchita dei lavori di Corrado Levi, Anna Franceschini, opera da noi prodotta in occasione della sua personale, e Nico Vascellari. In generale, guardando a tutti i progetti fatti finora vedo diverse tematiche e attitudini ricorrenti in maniera più o meno evidente e che tra loro si intrecciano: dalla riflessione su tempo, storia e memoria alla questione del corpo e dell’identità, dalla capacità di muoversi con nonchalance tra media diversi alla ripresa della duplice valenza estetica e di significato della parola scritta.  

È recentemente terminata la mostra dedicata a Gianni Politi. Cosa puoi dirci di più? 
La mostra di Gianni Politi [qui la nostra recensione, ndr] è stata un vero e proprio viaggio nella mente dell’artista tra le sue idiosincrasie e ossessioni, caratterizzate da un fluido scivolamento tra figurazione e astrazione, pittura e scultura. Politi ha lavorato per anni sullo stesso ritratto, nato inizialmente per essere riprodotto in piccolo formato, ma che ha via via acquisito dimensioni sempre maggiori fino a raggiungere grandissimi formati. In Triennale la serie di dipinti figurativi è stata accostata nel tempo al lavoro più astratto dell’artista. Per Triennale l’artista ha ideato un’installazione inedita, in cui un nuovo lavoro è in dialogo con serie pittoriche precedenti ed elementi scultorei zoomorfi, rimandanti alle rane, anfibi che in molte culture simboleggiano sia il concetto di metamorfosi sia quello dell’attraversamento della soglia tra mondi.  

E per quanto riguarda la mostra di Davide Allieri, fresca di inaugurazione? 
La pratica di Davide Allieri (Bergamo, 1982), intrisa di riferimenti che spaziano dal cinema al teatro e alla fantascienza, è caratterizzata da alcuni temi ricorrenti, tra cui la sperimentazione sui materiali, la riflessione sulle coordinate di spazio e tempo all’interno di habitat distopici e la presenza di elementi di protezione e isolamento, dispositivi-guscio abbandonati all’interno di scenari post-apocalittici. Le opere esposte in Triennale sono sviluppate a partire da oggetti comuni che, modificati dall’artista diventano forme aliene e inquietanti, al confine tra l’organico e l’inorganico. Ne risulta un paesaggio dell’abbandono, caratterizzato da resti e tracce di una società ormai estinta, presagio di un avvenire incerto. Attraverso la risemantizzazione del relitto Allieri ragiona sull’ambiguità tra passato e futuro, abbandono e recupero, distruzione e invenzione. Mi piace sottolineare come sia nel caso di Politi sia in quello di Allieri, e come anche avvenuto in precedenza con Anna Franceschini, gli artisti hanno avuto la totale libertà di confrontarsi con lo spazio dell’Impluvium proponendo opere e allestimenti appositamente pensati in dialogo con l’architettura di Triennale.  

Veduta dell'installazione della mostra Pittura italiana oggi. Photo di Piercarlo Quecchia DSL Studio © Triennale Milano
Veduta dell’installazione della mostra Pittura italiana oggi. Photo di Piercarlo Quecchia DSL Studio © Triennale Milano

Damiano Gullì e il panorama della pittura italiana 

Con la mostra Pittura italiana oggi hai esposto una selezione di 120 artisti italiani che oggi fanno uso del mezzo pittorico. Un’esposizione che ha fatto parlare di sé, nel bene e nel male: quali sono stati i pregi e i difetti di questa operazione? 
La mostra ha rappresentato una vera sfida e un’assunzione di responsabilità. A distanza di un anno non sta a me elencarne pregi e difetti, ma posso tranquillamente affermare che gli obiettivi prefissarti sono stati raggiunti. Vedere tanti professionisti e tante testate tornare a parlare oggi di arte, pittura, sistemi espositivi da punti di vista diversi, anche con toni accesi e approcci divisivi, trovo sia straordinario all’interno di una scena in cui spesso si percepisce la mancanza di critica e confronto. Per incentivare il dibattito, ad aprile, a due mesi circa dalla chiusura della mostra, ho organizzato una tavola rotonda di confronto con artisti, critici, curatori e giornalisti dedicata proprio all’approfondimento di temi e riflessioni scaturiti dalla mostra.  

Ma il lavoro fatto non è terminato con la mostra… 
Esatto, stiamo portando avanti una serie di presentazioni di libri e pubblicazioni realizzati da alcuni degli artisti che erano in mostra. Spero che tutto questo possa essere generativo di nuove pubblicazioni e mostre anche al di fuori di Triennale e che il dibattito non si esaurisca. La soddisfazione, poi, è stata duplice nel vedere, da una parte, artisti e artiste esposti in Triennale avviare nuove collaborazioni con gallerie e istituzioni scaturite proprio dalla mostra stessa e, dall’altra, incontrare negli spazi espositivi pubblici ampi ed eterogenei, dalle famiglie con bambini – per i quali avevamo ideato degli specifici laboratori e visite guidate e un album, distribuito gratuitamente, quale ulteriore supporto alla visita – agli studenti, dagli addetti ai lavori agli appassionati di pittura. 

La pittura è uno dei tuoi cavalli di battaglia, come ha dimostrato anche la tua rubrica su queste pagine. Secondo te è un medium che porta bene i suoi (moltissimi) anni o si sta esaurendo? 
La rubrica su Artribune ha rappresentato una palestra fondamentale per la preparazione di Pittura Italiana Oggi. È stato un lavoro di anni, fatto di interviste, incontri, studio visit, un grande arricchimento umano e professionale. Provocatoriamente la rubrica aveva il titolo Pittura lingua viva, ma è evidente come la presenza della pittura in fiere e mostre sia una costante. Il linguaggio pittorico non si sta esaurendo. Come tutto, inevitabilmente, subisce trasformazioni e ibridazioni e può inevitabilmente essere soggetto a mode e spirito dei tempi ma, ribadisco, è inesauribile.  

E per quanto riguarda specificatamente l’Italia? 
Come ho cercato di dimostrare con la mostra in Triennale, il panorama della pittura in Italia è ampio e sfaccettato, ed è quindi doveroso continuare a monitorarlo e metterlo in scena in tutta la sua ricchezza e complessità.  

Damiano Gullì © Say Who, Alessio Ammannati
Damiano Gullì © Say Who, Alessio Ammannati

Il sistema dell’arte italiano secondo Damiano Gullì 

Sempre restando nel nostro Paese, quale pensi che sia la situazione per i giovani professionisti dell’arte (artisti, critici e curatori, ma non solo) all’interno delle istituzioni? Come si sta muovendo Triennale in questo senso? 
Triennale è un luogo in grado di accogliere e valorizzare capacità, competenza e passione di tutti quei professionisti, anche giovani, che a essa si avvicinano. Il team è composto da circa 80 persone, l’età media è sui 35 anni, con una significativa prevalenza al femminile. L’attenzione nei confronti dei giovani artisti, ma aggiungerei anche designer, architetti e performer, è costante. Ricordo già nel 2007 la ricognizione The New Italian Design, dedicata alla nuova scena del progetto, o i talk da me organizzati negli ultimi tre anni dedicati alle nuove generazioni di artisti italiani come anche la fitta presenza di artiste e artisti Under 35 in Pittura Italiana Oggi. Per quanto riguarda le altre istituzioni, noto un progressivo ricambio generazionale, un maggiore dinamismo e credo che si debba sempre più lavorare in questa direzione. Fondamentale è la tutela di tutte le categorie professionali del settore e in questo senso trovo importanti le istanze e l’impegno del gruppo Art Workers Italia.  

Quali sono i tuoi prossimi progetti (oltre a quelli già menzionati)? 
Nell’ottica di avere sempre uno sguardo sull’Italia e, al contempo, sul mondo, dopo aver accolto le opere Yona Friedman (e anche il lavoro di Friedman è entrato nella nostra collezione) e di Dan Graham in concomitanza con le scorse edizioni di Milano Art Week, il 21 novembre inaugureremo la prima personale in Italia dell’artista turco Seçkin Pirim, a cura di Tommaso Tovaglieri. Sarà una mostra diffusa tra gli spazi esterni e interni di Triennale con opere di grande formato che dialogheranno con l’architettura del Palazzo dell’Arte. Le sculture di Pirim esplorano forma, colore e reiterazione di modelli formali. Misurandosi con una varietà di media, l’artista analizza il rapporto tra opera e spazio, la dicotomia tra natura e cultura e i confini tra arte, architettura e design. Le sue sculture minimaliste combinano elementi generati al computer ad altri costruiti manualmente, alimentando così un dialogo tra tecnologia e mano artigiana che si fa epico. 
Per il 2025 sto lavorando con il Presidente Boeri e tutto il Comitato scientifico (Umberto Angelini, Nina Bassoli, Marco Sammicheli) all’importante appuntamento della Esposizione Internazionale di Triennale, che avrà come titolo Inequalities. E poi sono in cantiere altri progetti che non posso ancora anticipare.  

Ultima domanda: un consiglio per chi vuole occuparsi d’arte contemporanea oggi. 
Avere sempre passione e curiosità.  

Alberto Villa 

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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, si occupa di critica e curatela d'arte contemporanea. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di Josef Albers e attualmente frequenta…

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