Chele di aragosta e nudità vulnerabile. Jacopo Benassi graffia ancora a Milano
Artista in primissimo piano sulla scena contemporanea, Benassi presenta da Francesca Minini gli esiti delle sue ultime produzioni. Una mostra polemica e meditativa che unisce fotografia e performances apocalittiche a ritmo di musica techno
Jacopo Benassi (La Spezia, 1970) si è conquistato una postazione di primo piano nel panorama artistico contemporaneo grazie a una debordante personalità e alla cifra inconfondibile che contrassegna il suo lavoro. Sàlvati Salvàti, l’esposizione in corso alla Galleria Francesca Minini, ne è la prova più recente.
Jacopo Benassi: tra arte, fotografia e performance
Formatosi negli ambienti culturali underground, attivista e fondatore di spazi alternativi, Benassi ha trovato nella fotografia il suo medium originario e distintivo. Ma sempre più, in questi ultimi anni, essa si è integrata con il ricorso alla pittura e alla scultura, il tutto miscelato in installazioni che a loro volta diventano teatro di spericolate performances. Solo entro la cornice di questa mostra, scalate in date diverse, ne sono comprese quattro: Performance con Khan of Finland, Brutal Casual con Lady Maru, SASSI con Luciano Chessa e Marco Mazzoni e infine un concerto con Lamante: assistere a questi eventi è come partecipare a happenings gioiosamente apocalittici e catastroficamente rassicuranti, in cui gli strumenti musicali diventano megafoni di un suono primordiale, e i ritmi electro, acid, o techno dei sintetizzatori caricano l’atmosfera di una frenesia rituale.
Resilienza e speranza nella mostra di Jacopo Benassi da Francesca Minini a Milano
Come si desume dal titolo singolare, in questo suo ultimo allestimento Benassi pone l’accento – e doppio, anzi, per specificare forse un imperativo di resilienza e un participio passato di speranza – sul tema della salvezza, inscenando delle strategie di resistenza. Contro che cosa non viene puntualizzato, ma si può capire che si tratta del mondo attuale nel suo complesso, con le sue derive sociali, politiche e culturali. È proprio questo a essere preso dall’artista come bersaglio polemico, inteso come una minaccia dalla quale proteggersi e contro cui corazzarsi.
Ecco allora spiegato perché, appena entrati nella sala principale, ci troviamo di fronte ad una sorta di barricata, improvvisata con grandi stampe fotografiche ancorate a una struttura di tubi Innocenti, intorno alla quale si accalcano gli oggetti più disparati: calchi in gesso, elmetti, tromboni, piatti, tamburi, tappeti, sacchi di plastica.
Le fotografie di Jacopo Benassi in mostra da Francesca Minini a Milano
Oltre questa barriera, ecco appese alle pareti – sulle quali si intravedono residui di scritte fluorescenti vistosamente cancellate da chiazze di vernice nera – delle opere dai connotati ibridi, costituite da fotografie poste all’interno di cornici di compensato grezzo e mal tagliato, assemblate in scatole, schermate da vari impedimenti, sovrapposte e tenute insieme da cinghie a trazione. Se le immagini fotografiche, infatti, costituiscono pur sempre il leitmotivdelle mostre di Benassi, e ne sviluppano il filo narrativo, c’è da specificare che esse si oggettualizzano, si negano, si nascondono a vicenda, si inscatolano l’una nell’altra e interagiscono con altre cose: solo eccezionalmente vengono appese alla parete nella loro canonica integrità, ma sempre con cornici umili e mutilate.
Le opere di Jacopo Benassi da Francesca Minini a Milano
L’urticante araldica di Benassi si esemplifica in uno stendardo raffigurante una chela d’aragosta e pendente da un ramo spinoso. Ma non mancano icone di leggerezza e fragilità, come l’immagine di una farfalla che allarga le ali sotto un quadro più piccolo che le si sovrappone, o le foto raffiguranti parti del proprio corpo in tutta la loro vulnerabilità e nudità.
Anche in questa sua più recente realizzazione – discarica e stanza del tesoro, arca con cui affrontare il diluvio prossimo venturo e bunker in cui stivare elementi di recupero ed imperdibili reperti da custodire – Benassi, come è suo costume, ci rende partecipi dei suoi ossimori e dei suoi rovelli, del suo bisogno di corazzarsi e del suo coraggio di mettersi a nudo.
Alberto Mugnaini
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