Collant e tendini di bue diventano oggetti d’arte: la mostra di Jean-Luc Moulène a Napoli
La ricerca materica dell’artista francese trionfa in questa mostra ricca di citazioni Dada e materiali protagonisti di fantasiose metamorfosi
Influssi dadaisti e ragionamenti sulla metamorfosi sembrano plasmare l’indagine artistica di Jean-Luc Moulène (Francia, 1955). La pratica dell’artista francese è, infatti, un esercizio ri-compositivo dell’ordinario e del quotidiano, attraverso un’esperienza dello sguardo che configura nel concetto di movimento e cambiamento l’input per conoscere e ri-conoscere l’oggetto comune, “inventando costantemente nuove zone di esperienza estendendo all’infinito i limiti dell’opera” (Martin Margiela, parlando della sua ‘arte dell’attenzione’ all’oggetto comune). È questo quello che attende il pubblico nella mostra proposta a Napoli dalla Galleria Thomas Dane.
Il processo creativo di Jean-Luc Moulène
Il processo creativo di Moulène nasce da una percezione del mondo ‘oggettuale’; di conseguenza le sue opere sono oggetti, espressioni concrete del vero, create tramite un atto costruttivo tridimensionale, lontano però dalla pratica scultorea. “Parlo di immagine e oggetto, di fotografia e prodotto, entrambi trasformati. Ciò che mi interessa sono le funzioni della trasformazione. Che cos’è dunque un oggetto ordinario? Quali ordini lo organizzano, lo costruiscono e lo trasformano?” Questi i pensieri dell’artista che ‘plasmano’ il quotidiano e ne modificano le forme tramite incisive dinamiche gestuali proprie o di artigiani ad hoc.
La mostra di Jean-Luc Moulène da Thomas Dane a Napoli
Il corpus di opere dell’artista abbraccia un ampio spettro di lavori, 35 dei quali in mostra a Napoli, con cui si celebra il sesto sodalizio espositivo. La raccolta si intitola Enlightenments, rievocando gli ideali del XVIII secolo opposti all’oscurantismo, dove la ratio e la conoscenza erano le sentinelle della libertà di pensiero.
La rassegna nella sede partenopea della galleria propone lavori più recenti e nuovi di Opus, sperimentazioni iniziate nel 1995, con un focus su due opere protagoniste. Vortex (2024) è una creazione in stretto dialogo con il luogo: dalla veranda panoramica si ammira il Vesuvio, nella sala interna si esperisce l’opera ispirata al vulcano fumante. Fixed Zinc, Hobart (2021) ipnotizza come se fosse un’eruzione congelata nello spazio. Il lavoro è stato per la prima volta esposto lo scorso anno al MONA, in Tasmania, ed è realizzato in lega di zinco, fuso sulle rive del fiume Derwent e della Bell Bay.
Il vocabolario materico di Jean-Luc Moulène a Napoli
I materiali ricercati, studiati e utilizzati da Moulène rappresentano parte fondamentale delle opere stesse. La ricerca dell’artista è un’esplorazione costante del suo lavoro: il valore tattile delle opere è consapevole, le materie modellate o rinvenute sono un unicum con l’oggetto stesso. Si spazia dall’uso di componenti grezzi ad altri rimodellati con la stampa 3d e ad elementi industriali come bronzo dipinto in Méduse. Paris (2018). Per finire poi con un tubo in PVC legato da tendini di bue nell’opera Tout-Tuyau-Tout-Nerfs. Le Buisson (2024). L’artista-alchimista, però, non si limita alla scelta di materiali, ma si appropria anche di oggetti che trasformati nell’uso ordinario e canonico, sono scelti come materie parlanti di opere in mostra: Faon plat. Le Buisson (2024), ad esempio, è un cerbiatto il cui profilo in metallo è ‘riempito’ di collant; in Spores, le spore di funghi su supporto di carta diventano geometrie naturali.
Le regole espositive di Moulène
Non meno importante è l’interazione dell’opera con lo spazio. Calare un oggetto nell’hic et nunc della scena è un modo per renderlo partecipe dell’ambiente e vivificare il contesto in una relazione osmotica seppur ben delineata. Moulène ha definito per ciascuna opera in mostra la collocazione precisa. L’esposizione segue rigide leggi, incastrate in una griglia immaginaria che seziona lo spazio della galleria, facendola diventare terreno di reperti e tela di sfondo partenopea che suggerisce echi mistici e sacri all’intera mostra.
Elizabeth Germana Arthur
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