L’epoca d’oro degli oggetti smarriti. Gianni Veneziano in mostra a Milano
Alla Casa dei Disegni, l’artista e designer recupera da mercatini dell’antiquariato e vecchi libri d’arte stampe di Mantegna, Andy Warhol e ceramiche Ginori. Oggetti dimenticati a cui restituisce nuova vita
La damnatio memoriae era una condanna imposta nell’antica Roma a coloro che avevano compiuto atti gravissimi. Una sentenza che annullava ogni traccia e ricordo della persona colpita, quasi un’anticipazione della nostra cancel culture. E che può essere applicata anche alle cose. Oggetti che accumuliamo nel tempo, specialmente in un’epoca che ci spinge all’iperconsumo, e che poi dimentichiamo: piccoli cimeli che restano chiusi in scatoloni polverosi o ammucchiati in qualche angolo buio. Ma cosa resta di questi oggetti quando non li guardiamo più? Qual è il loro valore – storico, affettivo, simbolico – quando li abbandoniamo a loro stessi? E, soprattutto, esiste un modo per reinserirli nel nostro presente, infondendo loro nuova vita?
La mostra di Gianni Veneziano alla Casa dei Disegni
Queste sono le domande a cui l’artista e designer Gianni Veneziano (Molfetta, 1953) ha cercato di rispondere con la mostra Golden Age – (s)oggetti smarriti, visitabile su appuntamento alla Casa dei Disegni a Milano. La Casa dei Disegni, un’inusuale casa-galleria con sedi a Milano e nel Salento, è uno spazio fondato da Veneziano e dalla compagna di vita e di lavoro Luciana di Virgilio. Una realtà che nasce per esplorare il confine tra design, arte e artigianato, dove ogni oggetto, ogni superficie diventa segno e traccia di storie personali. È qui che prende vita l’opera di Veneziano, che in anni di ricerca ha raccolto e restaurato oggetti abbandonati, storie dimenticate, “(s)oggetti smarriti” appunto. A questi, l’artista non regala semplicemente una seconda chance: li trasforma, reinterpretandoli con un gesto creativo che non è nostalgico, ma profondamente legato al presente. Così, alle stampe di Mantegna e di Andy Warhol degli Anni Sessanta si alternano quelle di pittori dimenticati come Ambrogio Alciati, mentre a fianco di piatti e ceramiche Ginori si trovano pagine di volumi d’arte, cartine geografiche, ma anche opere senza nome, ritrovate nei mercatini dell’antiquariato.
Gianni Veneziano e il kintsugi
Non si tratta di un atto di recupero fine a se stesso: ogni oggetto è arricchito da una patina dorata, ispirata alla tecnica giapponese del kintsugi. In Giappone, quando un oggetto in ceramica si rompe, si utilizza la foglia d’oro per ricomporlo, esaltando le fratture e trasformandolo in un’opera unica e irripetibile. È questo che fa Veneziano: con il suo tocco, ogni oggetto riparato, pur nella sua imperfezione, acquista una nuova identità. “In un mondo che incita al consumo costante”, afferma Veneziano, “è più forte che mai l’urgenza di fermarci e riflettere sul rispetto per ciò che è stato e che spesso consideriamo inutilizzabile”.
La valorizzazione dell’usato nella società contemporanea
Come in una versione in miniatura dell’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg, il lavoro di Veneziano si inserisce in un contesto di recupero che trae ispirazione dal mondo dell’arte, del design ma anche della moda. Dopo anni di obsolescenza programmata, infatti, il fashion system ha dovuto fare i conti con la necessità di riscoprire e far rivivere i capi d’epoca. Il “vecchio”, quindi, non è più sinonimo di rifiuto, ma di risorsa da valorizzare per creare nuovi significati.
Cecilia Moltani
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