Gli artisti palestinesi chiedono aiuto a musei e gallerie per organizzare una Biennale di Gaza
Promosso dall’Al Risan Art Museum della Cisgiordania, il progetto vuole valorizzare gli artisti rimasti nella Striscia, per raccontare come l’attaccamento alla vita abbia la meglio sulla distruzione. Si cercano istituzioni internazionali disposte a promuovere e ospitare mostre dei loro lavori
Portare la vita, dunque l’arte, in un luogo di morte. È questa la missione dichiarata del gruppo di artisti palestinesi che intende organizzare, con tutte le difficoltà del caso, un’inedita Biennale di Gaza. Un progetto che si propone, innanzitutto, di accendere i riflettori sulla tragedia in atto nella Striscia, sotto l’attacco dell’esercito israeliano da oltre un anno.
Perché una Biennale di Gaza?
L’idea, esposta dal giovane artista Tasneem Shatat – che si è fatto portavoce dell’iniziativa sulle pagine del Guardiane la scorsa primavera è stato il primo artista in residenza a Gaza per il progetto promosso dall’Al Risan Art Museum, il Museo proibito fondato in Cisgiordania nel 2021 – è quella di assurgere simbolicamente al prestigio delle più note biennali internazionali, perché gli artisti di Gaza, come tutti gli artisti che nel mondo si trovano a lavorare in condizioni estreme e a rischio della vita per portare un messaggio di speranza e resistenza, possano ottenere l’attenzione che meritano. Ma la scelta di scommettere su una biennale è anche un auspicio sulla possibilità che l’evento possa ripetersi, nel prossimo futuro e negli anni a venire, in una Gaza pacificata.
Il progetto work in progress della Biennale di Gaza
Per ora si tratta di un’idea in progress, che dovrà scontrarsi con evidenti ostacoli logistici: tra i 50 artisti che si sono riconosciuti nel Manifesto della Biennale di Gaza, tutti provengono da territori occupati, ma solo alcuni vivono ancora nella Striscia. Altri, invece, sono emigrati in Egitto, quando era ancora possibile scappare all’inizio della guerra. L’esposizione vorrebbe coinvolgere tanto Gaza che gallerie e istituzioni estere disponibili a ospitare le opere degli artisti palestinesi, che si proverà a far arrivare oltre la Striscia attraverso i volontari che sporadicamente sono autorizzati a entrarvi per portare aiuti umanitari. Ma si pensa anche alla possibilità di esporre materiali audiovisivi inviati in formato digitale, o all’ipotesi di favorire collaborazioni a distanza con artisti residenti in Cisgiordania. Sul versante economico, proprio l’Al Risan Art Museum, che Shatat ha fondato con l’artista Andreas Ibrahim, ha avviato una raccolta fondi online per reperire 90mila dollari necessari a finanziare la pratica artistica nella Striscia di Gaza e l’organizzazione della Biennale. Mentre alle istituzioni d’arte internazionali si rivolge un invito al coraggio nel sostenere la causa.
Gli artisti al lavoro in Palestina e nella Striscia di Gaza: il Manifesto
A Gaza, del resto, la produzione artistica non si è mai interrotta, e darne prova al mondo significa, per gli organizzatori dell’evento, manifestare l’attaccamento alla vita di fronte al tentativo di privare i palestinesi della Striscia della loro umanità. “La guerra ci ha rubato molte cose e continua a farlo, eppure il mondo resta in silenzio”, ha spiegato Shatat“Vogliamo che le istituzioni internazionali di tutto il mondo ospitino questi disegni e dipinti e li mettano in mostra. Non racconteremo le storie che il mondo già conosce bene, ma vi racconteremo la rinascita dal buio dell’ingiustizia, vi racconteremo della vita in mezzo alla morte”.
Parole che si rispecchiano nel Manifesto che, insieme ad alcune opere presentate per la Biennale, correda la campagna di crowdfunding promossa all’Al Risan Art Museum: “La Biennale di Gaza ha l’obiettivo di mettere la lotta di un popolo al centro dell’impegno artistico; è un intervento nel mondo dell’arte che rompe con le procedure espositive standard a causa dell’urgenza e dell’eccezionalità della situazione. Siamo nella fase di produzione, e il nostro prossimo obiettivo sarà trovare istituzioni partner che ospitino e producano le nostre mostre. Questo è un appello alle istituzioni artistiche di tutto il mondo. La dimensione più glamour del mondo dell’arte è in grado di gestire la realtà di Gaza?”. Un tentativo accorato, insomma, di far crescere una rete internazionale di supporto per dare voce agli artisti palestinesi e al loro afflato di vita, che li porta a resistere per esistere con dignità. La percentuale di fondi raccolti per raggiungere l’obiettivo, al momento, è minima. Ma più dei finanziamenti conterà la volontà di schierarsi da parte di istituzioni culturali, musei e gallerie di tutto il mondo. Chi risponderà “Presente!” all’appello?
Livia Montagnoli
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