A Milano la più ampia mostra di sempre sull’artista Marcello Maloberti. L’intervista

Tra lavori inediti, rielaborazioni e opere iconiche, l’esposizione celebra il profondo legame tra l’artista e la città di Milano, che ha accompagnato il suo percorso creativo fin dagli esordi

Sacralità del quotidiano, elevazione poetica della parola e trasformazioni del paesaggio urbano sono i temi che si intrecciano e fondono nella più ampia e articolata mostra (non retrospettiva, ci tiene a precisare l’artista) mai presentata da Marcello Maloberti (Codogno, 1966). A fare da teatro il PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano che, fino al 9 febbraio 2025, ospita METAL PANIC, proseguendo la sua ricerca sulla generazione di artisti contemporanei italiani nati negli Anni Sessanta.
Tra lavori inediti, rielaborazioni e opere iconiche, l’esposizione, a cura di Diego Sileo, celebra il profondo legame tra l’artista e la città di Milano, che ha accompagnato il suo percorso creativo fin dagli esordi. Come in un cantiere in continua trasformazione, le opere sembrano prendere forma via via che il pubblico inizia ad abitare gli spazi del PAC, in perpetua tensione verso un potenziale creativo. Per l’occasione, abbiamo incontrato Maloberti che ci ha raccontato non solo la mostra ma in generale la sua concezione di “fare arte”, dal concetto di omaggio ai grandi intellettuali che l’hanno ispirato.

L’intervista a Marcello Maloberti

Hai dichiarato che il concetto di “omaggio” è parte essenziale dell’operare artistico e che concepisci il tuo lavoro come una moneta greca antica, da un lato c’è Pier Paolo Pasolini, dall’altro Carmelo Bene e sul profilo Franz Kafka. Ci spieghi meglio la valenza di questi tre personaggi?
Esatto, è come se avessi questa moneta che continuo a rigirare nella mia mano. Pier Paolo Pasolini rappresenta lo sporcarsi con la realtà, Carmelo Bene invece lo sporcarsi con il divino, mentre Franz Kafka, che si trova sul bordo, il mio balbettare con il linguaggio. Tutte e tre sono grandi figure di riferimento per il mio lavoro, Pasolini è stato uno scrittore che ha focalizzato la sua poetica quasi esclusivamente sul concetto di corpo e sul corpo del linguaggio; Carmelo Bene, invece, è in grado di trasportati in una dimensione mistica, slegata dal reale. Mi viene poi in mente questo testo di Gillez Deleuze e Felix Guattari dal titolo Kafka. Per una letteratura minore (1975) nel quale si afferma l’esistenza di una terza lingua, che si collega al dialetto, perché l’invenzione dell’arte alla fine è quella di cercare un nuovo dialetto, una nuova lingua. Mi piace provare a incarnare il divino, il reale e l’alto e il basso nel linguaggio.

Come mai hai scelto di intitolare l’intera mostra Metal Panic come l’omonima opera (una partitura per fucile) che alterna una melodia “silvana” e spaventi sonori improvvisi?
L’opera METAL PANIC (2024) è il cuore dell’esposizione. Si tratta di un lavoro inedito realizzato appositamente per questa mostra. La video performance diventa un allarme all’interno dello spazio e questa sensazione si espande in tutti gli ambienti del Padiglione. Il suono accompagna e condiziona la fruizione di tutti i lavori presenti. L’opera è nata dalla visione di un’immagine su un vecchio numero di un National Geographic, che rappresentava un cacciatore, a conclusione della caccia, intento a suonare le canne del fucile. Ho voluto ricreare questo gesto, studiando una partitura prestabilita e suonata da un sassofonista di Bologna. L’opera ribalta la funzione del fucile, trasformandolo in una sorta di Flauto di Pan, i cui suoni, generati attraverso il soffio, danno vita a uno strano concerto, quasi un fuoriluogo. L’ambiente viene così scandito da un canto nuovo, primordiale.

Marcello Maloberti, METAL PANIC, exhibition view at PAC Padiglione d'Arte Contemporanea 2024. Photo Andrea Rossetti
Marcello Maloberti, METAL PANIC, exhibition view at PAC Padiglione d’Arte Contemporanea 2024. Photo Andrea Rossetti

Marcello Maloberti e il rapporto con il pubblico

Con l’opera Tilt, un guardrail trasformato in scultura, racconti di rappresentare plasticamente il tuo rapporto con il pubblico. Da quali tensioni è caratterizzato?
L’opera TILT (2024) si snoda come un disegno spaziale che ridefinisce il percorso dello spettatore. Anche in questo caso avviene un ribaltamento di senso, un dispositivo di sicurezza stradale diventa scultura, sottolineando il potere della linea, sia come forma di orizzonte che di separazione. Non mi piaceva l’idea di toccare i muri del PAC ma stare nello spazio. Mi interessava che il pubblico venisse indotto a eseguire un determinato percorso. Le diverse installazioni presenti in mostra si “attivano” con la presenza del pubblico che le vive, le esperisce. Il corpo dell’altro è fondamentale nel mio lavoro e come cita una delle mie Martellate IL PUBBLICO È IL MIO CORPO.

Le opere presentate in mostra sono per la maggior parte rielaborazioni passate. Quale, se c’è, si avvicina a essere, o addirittura è, sintesi del lavoro realizzato finora?
La mostra è un susseguirsi di lavori inediti e opere che mi piace definire come “remixate” per gli spazi del Padiglione. È stata una mostra progettata in modo sartoriale per gli ambienti del PAC. Non potrei scegliere un singolo lavoro ma credo che la coralità delle opere presentate possa essere una buona sintesi del mio percorso, che negli anni è passato in diverse dimensioni, da quella più ludica e partecipativa a quella più essenziale. Mi sento in un momento particolare nel quale ricerco molto la pulizia dell’opera e dello spazio che la ospita. Ho cercato di intervenire con gesti netti, molto precisi. Non leggo METAL PANIC come retrospettiva ma come un nuovo lavoro. Il più grande lavoro è il respiro che si è creato tra la città e la mostra, come quasi una condivisione.

Marcello Maloberti e l’omaggio ai suoi maestri

E, infine, hai scelto di chiudere la mostra con una performance che vede protagonista Ninetto Davoli…
Pensavo fosse importante organizzare un momento di chiusura dell’esposizione, un saluto al pubblico. Per questo ho scelto di ricreare una performance che avevo realizzato all’apertura della XVI Quadriennale di Roma nel 2016 con Ninetto Davoli, dal titolo BACIAMANO. Ninetto, posizionato all’ingresso del Padiglione, appena sopra lo stemma del Comune di Milano che si dice essere di Fontana, farà un baciamano a ciascuno dei visitatori che si addentreranno in mostra passando dalla scalinata di accesso al PAC. La presenza di Davoli è come se raccogliesse l’Italia e la sua storia recente su un piccolo palco teatrale improvvisato. In questo caso l’omaggio, di cui parlavamo prima, non è solo a Pasolini ma anche al mio maestro Luciano Fabro che, durante l’inaugurazione di una delle sue prime mostre, fece il baciamano a Carla Lonzi. Ma soprattutto è un omaggio al pubblico, che è parte fondamentale del mio operato.

Caterina Angelucci

Libri consigliati:

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Caterina Angelucci

Caterina Angelucci

Caterina Angelucci (Urbino, 1995). Laureata in Lettere Moderne con specializzazione magistrale in Archeologia e Storia dell’arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dal 2018 al 2023 si è occupata per ArtsLife di contenuti e approfondimenti per la sezione…

Scopri di più