Grigi vicini e lontani. I quadri di David Schutter sono in mostra a Roma
Lavora sulla percezione e sul suo ricordo il cinquantenne pittore David Schutter, in dialogo con i maestri del passato e del presente. La galleria romana Magazzino gli ha dedicato una mostra personale
Da qualche anno un profluvio di quadri ha inondato gallerie e fiere d’arte, è vero, ma quello che sto per consigliarvi di vedere è un genere di pittura molto diversa dal solito. L’artista in questione è David Schutter (Pennsylvania, 1974) e la galleria è Magazzino.
La mostra di David Schutter da Magazzino
Quattro quadri in tutto, piccoli, tutti dello stesso formato. Mentre li osservavo qualche settimana fa, mi chiedevo cosa esattamente stessi osservando. Forse, pensavo, non sto solo osservando, o non sto osservando solo quelle superfici campite con sfumature di grigio. Quattro rettangoli grigi sospesi nel biancore monacale di due piccole stanze. Avete presente quando visitate una casa da prendere in affitto? Vi aggirate e guardate qua là, certo, ma non solo. C’è da controllare che i pavimenti siano in buone condizioni, l’impianto elettrico, il bagno; c’è anche da tendere l’orecchio per capire se giungono forti il rumore del traffico o i litigi dei vicini. Ma c’è dell’altro. Camminate da una stanza all’altra come annusando l’aria, le antenne alzate pronte a captare le energie sottili di quel luogo. Ecco, quella mattina mi sono accorto della presenza di qualcosa che in genere alla maggior parte dei pittori, me compreso, importa ben poco – lo spazio attorno al quadro. Più mi sforzavo di concentrarmi su un singolo quadro, più prendeva il sopravvento una sorta di visione laterale. Percepivo di percepire… l’ambiente in cui ero immerso, nel suo insieme, quadri compresi, me compreso. Una piacevole sensazione.
Lontananza e ricordo nella pratica di David Schutter
Se dovessi riassumere in una frase la mostra, intitolata Neighbors (vicini di casa) direi che è una mostra dedicata alla lontananza. Schutter ha seguito un suo metodo, un tantino anomalo ma evidentemente efficace, un metodo che ha già utilizzato molte volte in passato: dipingere a partire dal ricordo di un singolo quadro. In questo caso l’opera che fa da innesco è una veduta della campagna inglese, con mucche e casa in lontananza. Dipinto da John Constable nel 1821, se ne sta oggi appeso alle pareti della Nationalgalerie di Berlino, dove Schutter l’ha a lungo osservato. The Admiral’s House in Hampstead, detto anche The Grove (il boschetto) ha dietro una storia che ha affascinato, anche se per ragioni diverse, entrambi gli artisti. Ma torno a quell’”ambiente in cui ero immerso”, perché quel che volevo dire è che questa è una mostra immersiva. Niente visori 3D, niente AI: qui l’intelligenza in gioco è tutta umana, plurale, capace di una “logica della sensazione”.
Le opere di David Schutter chiedono allo spettatore di abbandonarsi
Non so perché, ma ad ogni frase che scrivo mi pare di addentrarmi su un registro, quello della fantascienza, che mai e poi mai avrei collegato a questo pittore. Eppure quei piccoli quadri grigi senza immagini riconoscibili sono degli attivatori, non so trovare parola migliore. Sono dei super-attivatori. Richiedono collaborazione però. Ci dobbiamo abbandonare ad essi affinché succeda qualcosa. In altre parole, non sono degli affabulatori questi quadri, anzi rasentano il grado zero dell’affabulazione. Anche gli ultimi quadri di Rothko richiedono abbandono, con la differenza che in quel caso la dimensione soverchiante delle superfici pittoriche ci risucchia con più violenza. Nel caso di Schutter il gioco dei sensi è più sottile.
Il ricordo di una sensazione nelle opere di David Schutter
Come agisce dunque il ricordo nella fattura di questi quadri? Apparentemente non è riconoscibile in essi niente che ricordi visivamente il dipinto di Constable. Forse questi sono dei d’apres non di un quadro ma della sensazione prodotta da quel quadro su David Schutter? E il goffo tentativo di raccontare la mia esperienza di quella mostra, non è in fondo una sorta di d’apres simile? Diceva Henri Matisse durante le sue lezioni (1908): “A occhi chiusi, mantenete presente quanto avete visto e poi lavorate con la vostra individuale sensibilità”. A occhi chiusi.
Il grigio in David Schutter
Vorrei concludere tornando a quel “grigi” con cui ho sommariamente descritto le tele di Schutter. Grigio per un pittore vuol dire tutto e niente. Per Frans Hals, Goya o Manet il grigio spalancava un emozionante mondo da esplorare e i loro quadri ne danno un sensuale resoconto. Alcune serie di Gerhard Richter o di Albert Ohelen palpitano di una simile sensibilità. I grigi di Schutter – che non sono poi così grigi, osservateli bene! – risultano da altre indagini e ci invitano ad altre avventure.
Luca Bertolo
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