Intervista all’artista Giuliano Macca al confine tra buio e luce
La galleria GOWEN di Ginevra presenta la prima mostra personale internazionale dell’artista siciliano Giuliano Macca. Una mostra che si sgroviglia in una dimensione ultraterrena, dalle sfumature mitiche. Ne abbiamo parlato insieme all’artista in questa intervista
È una dimensione onirica, quella che l’artista siciliano Giuliano Macca ha realizzato nella sua mostra a Ginevra, presso la galleria GOWEN. Nato a Noto nel 1988, Macca è oggi una figura di spicco nel panorama dell’arte figurativa italiana. Conosciuto per i suoi dipinti passionali, ricchi di contrasti, per il tratto unico della sua penna Bic e per il suo carisma magnetico, l’artista ci trascina in un viaggio tra scenari mitologici. Questa mostra è un’Odissea, un’avventura dai connotati spirituali, popolata da corpi frammentati dalle suggestioni cubiste, azzurri cangianti, poetici violetti, sogni riverberanti e lacrime feconde. Con Etere, Giuliano Macca ci guida attraverso il suo percorso artistico e umano: un viaggio che inizia ad Amsterdam, dove il progetto prende forma, e si compie in Sicilia, terra natale dell’artista e dimora degli dèi. In questa intervista abbiamo parlato di Etere, di miti, di tempo e di equilibrio.
Intervista a Giuliano Macca
Ciao Giuliano, per rompere il ghiaccio: come definiresti questo periodo della tua vita professionale e, se vuoi, personale?
Non esponevo in una mostra personale da tre anni, un periodo in cui, insieme a Laura Gowen e alla sua GOWEN Contemporary, abbiamo costruito un percorso solido, in cui tempo, esperienza e fiducia sono stati tasselli fondamentali. Quest’anno è stato un’altalena tra luce e buio, un’oscillazione personale e profondamente umana che ho voluto esplorare attraverso la mia arte. Per farlo, ho avuto bisogno degli elementi: “un mare di giorno non è un mare di notte”, anche se il mare rimane lo stesso. Questo è il senso di Etere: nonostante l’oscurità, in noi persiste sempre una versione luminosa di ciò che siamo.
Hai preparato questa produzione per la mostra Etere (visitabile fino al 15 febbraio 2025) immerso nella rurale, barocca e mitica atmosfera siciliana. Quanto ha influito questo contesto nelle tue opere?
Hai colto un aspetto molto vicino al cuore di questa mostra. Credo sia importante non dimenticare il nostro senso di appartenenza. Nonostante viva lontano dalla Sicilia da metà della mia vita, c’è una voce, continua e mai fastidiosa, che mi richiama. Come una suadente sirena che chiama a sé un marinaio. Tornare in Sicilia dopo tanti anni implica un cambio di prospettiva, spontaneo ma inevitabile. Qui ho respirato un’energia così forte e vulcanica da essere quasi impossibile da racchiudere in tratti e colori. La Sicilia è una terra ricca di antichi racconti, dove divinità primordiali continuano a respirare e a dibattersi sotterraneamente, come nel mito di Tifone, imprigionato nel ventre dell’Etna. Io, umilmente, ho cercato di fare miei questi miti e tradurli nella mia produzione.
Perché la scelta del titolo Etere? Una divinità primigenia splendente della mitologia greca che dà origine al tempo.
Etere racchiude aspetti personali che ho sentito particolarmente vicini in questa produzione. Etere, divinità primordiale della luce e padre del tempo, rappresenta la luce più pura e incontaminata dell’universo, generata dall’oscurità stessa. Questo riflette il tema della mostra, che esplora contrasti e dualismi sempre presenti nel mio lavoro, qui assunti in una forma più romantica e volubile. In me, buio e luce convivono in una netta divisione spirituale, sfiorandosi solo a tratti. A volte, emerge un senso di estraneità, come se fossero due inquilini sconosciuti. Etere è anche considerato il quinto elemento, quello che ha permesso la nascita degli altri quattro. C’è poi l’idea dell’etere, l’aria che respirano gli dèi, qualcosa di eterno e immortale. Ho cercato di creare un nuovo mondo che si eleva oltre il terreno, un universo che trascende la realtà e sfida i limiti del tangibile: i soggetti richiamano le anatomie, ma sono antianatomici, e i paesaggi racchiudono colori naturali, ma sono antinaturalistici.
Il tempo è un concetto interessante da esplorare, soprattutto oggi, in un’epoca in cui sembra quasi sfuggirci. Che rapporto hai con il tempo e come è mutato il tuo approccio alla pittura negli anni?
Non ho un vero rapporto con lo scorrere del tempo. La sua inevitabilità mi affascina e mi sgomenta. Confrontarsi con lui fa parte dell’esperienza umana, e per anime sensibili come la mia è impossibile ignorarlo o voltargli le spalle. Il tempo è la ragione per cui la fretta a volte prende il sopravvento nella mia vita: temo spesso di non averne mai abbastanza. Ma è anche ciò che mi spinge a cercare una formula per l’immortalità, un’arma per sconfiggerlo. Credo che l’arte possa essere uno strumento in grado di lasciare una traccia atemporale. In questa mia produzione passato, presente e futuro si uniscono in un’unica, intangibile dimensione.
L’Etere era anticamente considerato l’“Anima del mondo” e il “Motore” di tutte le cose. Qual è stato il tuo Etere?
Non credo di poter rispondere con un momento o una ragione precisa. L’arte ha invaso la mia vita sin da piccolo, quando, a sei anni, ho scoperto una finestra che potevo aprire solo io. Ha sempre rappresentato un mezzo per esprimere il mio mondo e, al tempo stesso, per spostare in esso il mio sguardo con libertà. Ancora oggi custodisco gelosamente quella finestra. Per me è una metafora: il confine ultimo da cui fare silenziosamente esperienza del mondo e di me stesso.
A proposito di mitologia, elemento centrale nella tua arte: c’è un mito o un personaggio mitologico che ti rappresenta?
Ti risponderei rapidamente con Icaro. Tuttavia, le mie ambizioni sono sempre temperate da una studiata prudenza che mi impedisce di avvicinarmi troppo al sole, e quindi alla rovina, pur sfiorandola spesso. Da qui nasce la mia eterna lotta per trovare un equilibrio.
Come ha influenzato la tua esperienza estera, in particolare il periodo ad Amsterdam, su questa nuova produzione artistica?
Mi ha insegnato il metodo. Ho osservato molto e ho capito che il metodo è la base di una produzione efficace. Meglio tre ore di lavoro produttive che otto ore in studio con solo due realmente fruttuose.
Etere sarà il tuo primo solo-show internazionale, tre anni dopo la tua ultima esposizione a Roma. Come stai vivendo questo traguardo?
Lo sto vivendo bene. Ho lottato e lavorato tanto per arrivare qui. Fino a qualche anno fa sembrava un obiettivo lontano, ma adesso è reale e voglio viverlo appieno.
C’è un’opera della mostra che senti particolarmente vicina, capace di rappresentare il tuo attuale stato d’animo?
Sinceramente, ogni opera rappresenta qualcosa di importante per me. Dipende dai giorni: a volte mi estraneo, le osservo e mi innamoro di una, poi cambio idea, umore, visione e ne scelgo un’altra.
Da chi o da cosa sei stato maggiormente influenzato per questa produzione?
Sono stato influenzato da chiunque abbia condiviso con me un frammento significativo di vita, dal mio vissuto intenso e dall’urgenza di guardare al passato per creare un linguaggio nuovo e contemporaneo. Nella mostra emergono le influenze di grandi maestri, talvolta quasi citati. Ho attinto dal passato per tradurlo nel presente, immaginando un nuovo futuro.
Parlaci di alcuni tuoi progetti futuri.
Stiamo lavorando con la galleria a diversi progetti internazionali. Per ora non posso rivelare molto.
In poche parole, descriviti come artista.
Lavoro affinché tutti possano capirmi, ma vorrei che nessuno mi capisse.
Giorgia Angelica Tambara
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