“L’arte è la mia religione e pure la mia politica”. Intervista allo scultore Tony Cragg
Il più importante scultore inglese è a Roma con due progetti espositivi. In questa intervista ci racconta il suo rapporto con l'Italia e la sua visione dell'arte come motore della mente e delle emozioni
Con cinquant’anni di carriera alle spalle, mostre in tutto il mondo, opere pubbliche, Tony Cragg (Liverpool, 1949) si può a pieno titolo considerare uno dei maggiori esponenti della scultura contemporanea a livello globale. Un artista che ha fatto della sperimentazione un modus operandi e che ogni giorno si mette alla prova per creare quel qualcosa che prima non c’era. Vitalità, curiosità, spirito di osservazione, queste sono solo alcune delle caratteristiche di Tony Cragg, britannico di origine e tedesco di adozione, con cui abbiamo avuto il piacere di parlare in occasione dei suoi progetti a Roma: la mostra Infinite forme e bellissime, alle Terme di Diocleziano e la collocazione di tre grandi sculture nel centro storico della città, entrambe a cura di Stéphane Verger, ex direttore del Museo Nazionale Romano, e Sergio Risaliti.
Intervista a Tony Cragg
Dati i progetti romani, direi di partire proprio dal suo rapporto con l’Italia. Ci può dire come ha interpretato o accolto la cultura italiana nella sua ricerca?
Penso che la cultura italiana, alla base di quella europea, costituisca parte integrante del patrimonio di ogni cittadino di questo continente. Mentre, per quanto riguarda più specificatamente la scultura e la mia personale esperienza le influenze che ho subito sono molteplici.
In questo senso, quali sono stati gli artisti italiani o il periodo più significativi per la sua pratica artistica?
Quando ero uno studente di vent’anni e visitai l’Italia per la prima volta, rimasi decisamente folgorato dall’Arte Povera. Era il 1968-69 e capii immediatamente che l’approccio di questi artisti ai materiali era incredibilmente radicale e nuovo. Tuttavia, per quanto rimasi colpito e affascinato dalla loro ricerca, riconoscendo il peso del loro contributo per il progresso della scultura, mi fu subito chiaro che non avrei mai voluto essere parte del gruppo.
Oggi che rapporto ha con Roma? E come ha selezionato le opere esposte?
Desidero offrire alle persone la possibilità di farsi un’idea ampia del mio lavoro. Non solo a livello delle singole opere ma anche delle stesse in relazione allo spazio, tanto espositivo, quanto cittadino. Perché non è possibile rapportarsi a Roma senza considerarla nella sua interezza. È una città forte e potente, anche per la sua dimensione storica. A differenza dei musei o delle città moderne, Roma è ricca di qualità materiche. Sapevo che gli edifici, con i loro colori, superfici e reticoli di trame, avrebbero in qualche modo reagito con le mie sculture. Ed io, anziché evitarlo ho proprio cercato questo rapporto, selezionando delle opere che più di altre lo facessero risaltare.
Gli interventi di Tony Cragg a Roma
Ci dica di più, come ha lavorato alle Terme di Diocleziano?
Considerando che ho avuto il privilegio di esporre in un’area estremamente suggestiva del Museo Nazionale Romano, ho deciso di procedere lasciandomi ispirare dalla musica, perché nella mia visione ogni mostra è come una composizione orchestrale. Come una sinfonia deve alternare momenti di quiete, andanti, allegri, ad altri dai toni vivaci e dirompenti; così in mostra ho messo in scena un contrappunto, tra assonanze e dissonanze. Quindi, da una parte ho creato dei parallelismi con l’antico, richiamandone l’atmosfera con materiali naturali, come il legno; dall’altra, ho attivato un contrasto, un punto di rottura, così evidente da far risaltare al massimo grado tanto la maestosa struttura antica, quanto le opere. Per questo ho selezionato sculture in bronzo e in altri materiali dai colori accesi e sgargianti. Poi, chiaramente, ogni allestimento, deve fare i conti, oltre che con gli aspetti artistici, con quelli pratici; come peso; dimensioni e via dicendo.
Molto interessante. E per le sculture in città, come le sembrano le reazioni?
A Roma ci sono moltissime sculture storiche ma ben poche contemporanee. E mi sembra che le opere contemporanee facciano un certo effetto. In generale ho notato che le persone sono indifferenti allo spazio urbano. Non fanno caso alle pubblicità; al traffico; ai diversi manifesti. Mentre, davanti alle sculture mi è parso di vedere una reazione di stupore, come se fosse atterrato un alieno nel giardino di casa, e il pensiero fosse: “Uh, e ora cos’è questo? Cosa rappresenta? Cosa significa?” Una reazione che trovo molto bella e che conferma l’importanza di collocare l’arte in contesti pubblici. Non credo che sia necessario ragionare nell’ottica del monumento, del “per sempre”, perché anche se temporanee le installazioni sortiscono il loro effetto. Reazioni di ammirazione o disappunto ma quasi mai di indifferenza. A livello personale, sono molto felice di aver potuto collocare le mie sculture nel centro di Roma, una città così ricca di storia.
La sperimentazione nella visione di Tony Cragg
Si può dire che la sua ricerca sia fortemente collegata alle emozioni?
Direi di sì. Del resto, come riportato anche nel titolo della mostra in corso: ci sono infinite forme e bellissime, infinite possibilità. In generale, penso che lo scopo di scultori e artisti sia quello di suscitare emozioni, ovvero di arrivare al punto in cui la materia assuma una forma o una caratteristica tale da farne percepire le qualità emotive. Insomma, l’attività artistica, il lavoro con la materia, è di per sé un’esperienza emozionante.
A proposito di materia e materiali, ci può dire di più sul suo rapporto con il fare e lo sperimentare?
Scopro quotidianamente materiali e tecniche nuovi. Per me fare arte significa sperimentare, sviluppare un lavoro nuovo con le idee e le possibilità che mano a mano si presentano. Nella mia ottica: si impara ogni giorno. Quando ero studente, cinquant’anni fa, raccoglievo materiali, li assemblavo, li catalogavo, senza immaginare minimamente che vent’anni dopo li avrei utilizzati per realizzare delle sculture. Diciamo che, avendo alle spalle circa cinquant’anni di attività, sarebbe stato terribile se non avessi avuto uno sviluppo costante e continuo.
C’è un materiale con cui vorrebbe lavorare?
Tradizionalmente i materiali erano pochi: marmo, legno, bronzo. Mentre, dall’inizio del XX Secolo è venuta meno quella gerarchia che imponeva l’uso di determinate materie e l’esclusione di altre. In gran parte grazie a Duchamp gli orizzonti si sono ampliati al massimo e in arte è diventato tutto lecito. Sono state utilizzate le materie più disparate, dagli oggetti comuni, agli ingredienti di cucina; dai fluidi corporei, agli elementi naturali. Per questo ritengo che oggi il tema centrale non sia lavorare con un nuovo materiale ma piuttosto renderlo unico. In altre parole, la mente umana è il materiale, o meglio, lo strumento, più importante e prezioso con cui poter lavorare. Senza il pensiero tutto perde importanza e significato. Anche perché, almeno per quanto mi riguarda, quando lavoro cambio la materia che ho di fronte ma, nello stesso tempo, quell’atto creativo provoca un cambiamento in me, nella mia mente. L’elaborazione artistica determina una metamorfosi, mette in moto il pensiero. Per questo ritengo essenziale la collocazione di opere in ambito pubblico. L’arte ha un potere catartico, in grado di cambiare la mente, gli orizzonti, i punti di vista delle persone. Ecco, per me questa è l’essenza del fare arte.
Il futuro dell’arte e degli artisti per Tony Cragg
Da qui la prossima domanda: in futuro il ruolo dell’arte e dell’artista subiranno un’evoluzione?
Certo, penso che l’arte sia in continuo cambiamento. Proprio per questo non sono in grado di fare pronostici, perché si tratta di un processo in continua evoluzione che non può fermarsi. Nella mia vita ho assistito ad una radicale rivoluzione. Negli Anni Sessanta e Settanta il mondo dell’arte contemporanea era estremamente piccolo, con poche persone interessate. Mentre oggi il contemporaneo è un fenomeno di massa. Ci sono musei in tutto il mondo, persino in Paesi che erano del tutto estranei all’arte. Anche in Italia, città, borghi e paesini, in cui solo fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile, espongono arte contemporanea. E il bello è che i musei sono pieni. Al museo di Dusseldorf una mostra temporanea ha richiamato oltre 135.000 visitatori. L’arte contemporanea adesso rappresenta un interesse reale, una forza.
A tal proposito, pensa che l’arte abbia anche un valore sociale?
Assolutamente sì. Penso che l’arte abbia il dovere di mostrare ciò che non esiste nella vita normale o, quantomeno, ciò che esula dalla quotidianità. Gli ambienti in cui viviamo e siamo immersi, con le loro luci e colori influenzano la nostra vita. Così come le persone che li abitano e che ci circondano. Il cervello è costantemente impegnato nell’elaborazione, conscia e inconscia, della realtà. In particolare, in quanto esseri umani, viviamo tra due mondi, quello naturale che deriva da uno sviluppo durato miliardi di anni, estremamente complesso e articolato; e quello creato da noi, di matrice artificiale e industriale, decisamente più semplice. Il mondo creato da noi ha ben poco di artistico o scultoreo. È piatto, ripetitivo e noioso, perché è concepito secondo le leggi della praticità. Anche Roma, pur essendo una città fuori dal comune, presenta degli elementi fortemente standardizzati, come le strade, le macchine; proprio per questo l’arte e la scultura svolgono un compito vitale, quello di movimentare questi panorami, mettendo così in moto la mente. L’arte, anche inconsciamente, entra nella vita; stimola lo sviluppo di idee nuove, la creatività e l’intelligenza. Per questo la ritengo imprescindibile.
C’è un Paese con cui le piacerebbe collaborare?
Partendo dal presupposto che mi piace viaggiare e ritengo che sia un’attività molto importante, devo dire che non mi sento un turista con la smania di vedere tutto; né un artista con la necessità di esporre ovunque. Per trovare l’ispirazione non devo attraversare la giungla o l’Antartide ma solo aprire la mente. Così il mio studio diventa il Paese che prediligo, in cui posso esprimermi liberamente e viaggiare con la mente. L’arte è la mia religione, la mia politica. E credo che in questo delicato momento storico il lavoro degli artisti sia indispensabile come non mai.
Tony Cragg e le nuove tecnologie
Qual è il suo rapporto con le nuove tecnologie?
Penso che siano interessanti ma le adopero solo nei processi di produzione. Quelli puramente esecutivi che, prima con le tecniche manuali, erano lunghi e tortuosi. Ed oggi, grazie alle nuove tecnologie, sono semplici, veloci, economici ed ecologici. Ci sono meno sprechi.
E per quanto riguarda l’Intelligenza Artificiale?
Penso che l’AI rappresenti ancora uno step successivo, in cui la macchina decide in autonomia, al posto dell’artista. Ma perché una macchina dovrebbe decidere per me? Non ha né coscienza né, tanto meno, emotività. Noi invece sì e sono le nostre caratteristiche più belle. Trovo che l’arte sia l’attività umana per eccellenza. Assolutamente, totalmente umana.
I prossimi progetti dell’artista Tony Cragg
Può dirci qualcosa sui suoi prossimi progetti?
Certo, ne ho un bel po’. Cerco sempre di mantenermi attivo e di lavorare il più possibile. Ora sto realizzando una scenografia per l’opera lirica Castore e Polluce, che andrà in scena a breve a Meiningen. Nei prossimi mesi ho alcune mostre in Germania, a Heidelberg e a Darmstadt. Poi, per i prossimi quattro o cinque anni ho già diverse grandi mostre in programma.
Qual è il progetto che la coinvolge di più?
Senza dubbio, per ora, la scenografia per il Castore e Polluce di Jean-Philippe Rameau. Un’opera caratterizzata da una musica affascinante, complicata e da una vicenda incredibilmente attuale; perfetta metafora del presente. Un’autentica dimostrazione dell’universalità dell’arte. Quindi, sono felice di poter contribuire all’evoluzione di questo capolavoro, presentato nel 1737 ma basato su un mito dalle origini davvero antichissime.
Ludovica Palmieri
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