Pittura o masturbazione? La mostra di Paolo Toffolutti a Venezia
Il ritorno al lavoro in studio dopo venticinque anni d’inattività. E la riscoperta della solitudine in un a tu per tu con l’opera. Dal sapore autoerotico…
Il portone dello SPARC* su Campo Santo Stefano non divide solo architettonicamente interno ed esterno, ma separa lo spazio pubblico della piazza da un ambiente olfattivamente connotato. Entrando si viene solleticati nel naso e, man mano che si sale le scale, l’odore cresce d’intensità nell’ambiente. È un angelo messaggero carico di trementina che annuncia, non troppo timidamente, il tema della personale di Paolo Toffolutti (Udine, 1962) Soggetti Smarriti.
Un naturale ritorno alla pittura per Paolo Toffolutti
Si parla di pittura, e quell’odore che prude alle narici è uno dei leitmotiv degli studi in cui si dipinge a olio. Un odore che diventa in questo caso feticcio per tale pratica e la sua sineddoche, cioè la parte per il tutto. Un tutto che segna per l’artista una ripartenza. La mostra, curata da Luca Berta e Francesca Giubilei, è costituita da una ventina di opere su tela realizzate recentemente dall’artista, il quale, dopo oltre venticinque anni in cui ha insegnato e operato come curatore, è ritornato a lavorare in studio.
La mostra di Paolo Toffolutti a Venezia
Le opere, disposte senza soluzione di continuità lungo le pareti delle stanze sia a parete che a terra, dichiarano un approccio processuale celebrale dal sapore minimale ed esistenzialista. Realizzate ricorrendo a un monotipo senza mai dipingere direttamente su tela, sono come le tracce di un lavoro fisico in cui la reiterazione sembra tenere a bada la nevrosi del dover essere o dover produrre. Azioni, maneggiamento, piaceri inattesi, delusioni, insoddisfazione, nuovi desideri, pigmento.
Pittura, masturbazione, voyeurismo e reciprocità
Per Toffolutti la pittura è un gesto di intimità, simile alla masturbazione, i cui effetti vengono esibiti pubblicamente. È essenzialmente una pratica che, come scrive nel suo testo-confessione in mostra, “ha il suo fondamento nell’essere fatta e spiata di nascosto, per guardoni che vogliono assistere ai fatti nel loro accadere, ma solo con la vista e a distanza”. E, nel contempo, è anche espressione di un interstizio che vitalmente si estende o si contrae, si disfa e si ricostituisce: quello tra l’io e l’altro, che sulla superficie tela vicendevolmente si specchiano e si annusano, saturi di trementina.
Daniele Capra
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