A Venezia l’opera di un artista contemporaneo sostituisce una pala d’altare del Cinquecento

L'abbazia lagunare di San Giorgio Maggiore accoglie un’opera sacra e trasfigurata di Nicola Samorì, che sostituisce una pala d’altare di Vittore Carpaccio

Per colmare il vuoto della pala d’altare pittata dal celebre Vittore Carpaccio (Venezia, 1465 – 1525) – ora in prestito – la Comunità Benedettina di San Giorgio Maggiore a Venezia ha commissionato un dipinto al noto artista romagnolo Nicola Samorì (Forlì, 1977). È così che penetra nell’abbazia lagunare, quasi come un miraggio, l’opera site specific Primo Martire.

Nicola Samorì nell’abbazia di San Giorgio Maggiore a Venezia

Al valico del sonno e della veglia, prima che si varchi l’intervallo fra i due territori, al confine dove essi si toccano, la nostra anima è circondata di visioni”, diceva il mistico Pavel A. Florenskij: e così la visione samoriniana, allestita in un’ala celata dell’edificio ecclesiale, la Cappella del Conclave o Coro Notturno. L’opera è un duello che fa i conti con ciò che è in assenza: se la pala cinquecentesca riportava l’effigie di San Giorgio che uccide il drago e, sullo sfondo, la lapidazione di Santo Stefano, Samorì inverte i piani. Qui “è il Primo Martire a giganteggiare, mentre San Giorgio diventa una sorta di blasone, impresso sul manto di Stefano” spiega l’artista che, abitando in quello che fu un oratorio del 1548 dedicato a San Sebastiano, fa, con questa nuova fatica, il suo secondo debutto in un ambiente consacrato.

L’opera “Primo Martire” dell’artista Nicola Samorì a Venezia

Quando entro in molte basiliche sono mosso da una naturalezza che non so spiegarmi, come se parte di quel capitolo di segni sia nelle mie mani e nella mia testa da sempre” ha raccontato Samorì. Primo Martire, che guarda al dipinto seicentesco di Pier Francesco Cittadini nella Basilica di Santo Stefano a Bologna, non è soltanto un gioco d’inversioni, ma anzitutto un tentativo contemporaneo di vivificare il martirio dell’uomo attraverso il “martirio della tela”: l’artista ha urticato la pelle del dipinto con alcune pietre, lapidandone il palesamento.

Arte contemporanea nell’abbazia di San Giorgio Maggiore a Venezia

L’opera, fruibile fino al 3 marzo 2025, non riporta allegorie, solo la volontà di concretizzare la scena, in una duplice tensione fisica e gestuale: mentre Santo Stefano s’incarna, la sua effigie “s’impetra” (come avrebbe detto Dante). E, a tal proposito, la contemplazione dell’opera si accompagna a una pregiata breccia di Vendôme, autentica mirabilia marmorea, dalla quale paiono scaturire altre pietre rivolte al corpo del martire. Nel frattempo, il Laboratorio del Restauro del Libro dell’Abbazia di Praglia produrrà un manoscritto impreziosito dalla mano di Samorì, che confluirà nella collezione dei manoscritti miniati donati alla Comunità abbaziale. Rivelazioni e segni nuovi, sia pure sotto antichi veli.

Francesca de Paolis

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Francesca de Paolis

Francesca de Paolis

Francesca de Paolis si è laureata in Filologia Moderna con indirizzo artistico all'Università La Sapienza di Roma proseguendo con un Corso di Formazione Avanzata sulla Curatela Museale e l'Organizzazione di Eventi presso l'Istituto Europeo di Design (IED). Ha insegnato Storia…

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