Doppia mostra a Roma per ricordare (e riscoprire) la pittrice Titina Maselli
Uno strano destino, quello della grande Titina Maselli (Roma, 1924-2005), artista italiana e fieramente internazionale, di cui la Sovrintendenza Capitolina celebra il centenario della nascita con due poderose esposizioni tra il Casino dei Principi in Villa Torlonia e il Museo Laboratorio dell’Università Sapienza. Amatissima in Francia, dove a lungo ha vissuto, adorata da intellettuali, artisti e critici, Maselli non ha mai […]
Uno strano destino, quello della grande Titina Maselli (Roma, 1924-2005), artista italiana e fieramente internazionale, di cui la Sovrintendenza Capitolina celebra il centenario della nascita con due poderose esposizioni tra il Casino dei Principi in Villa Torlonia e il Museo Laboratorio dell’Università Sapienza. Amatissima in Francia, dove a lungo ha vissuto, adorata da intellettuali, artisti e critici, Maselli non ha mai tuttavia goduto appieno del riconoscimento pubblico che le spettava. L’antologica, che segue di cinque anni quella in Palazzo Caetani Lovatelli, funestata dal dilagare del contagio a pochi giorni dall’apertura, è un sacrosanto tributo a una delle creatività più innovative del Novecento, gagliarda interprete della pittura del Dopoguerra tra Roma, New York e Parigi, donna libera e straripante di vita, capace di determinare il corso della pittura moderna e mai di subirne mode e correnti.
La mostra di Titina Maselli a Roma
La mostra ne testimonia l’intero processo espressivo, dagli esordi nei primi Quaranta ai lavori degli ultimi anni, e raccoglie un’attenta scelta di opere pubbliche e private con un corredo di documenti, pubblicazioni e filmati – nei quali emergono la sua pungente ironia e l’intatto fascino senza età – oltre che di materiali legati all’attività di scenografa e costumista teatrale, in cui conferma la sua vocazione di artista puro, capace di accordare un’inesauribile energia figurativa anche a drammaturgia e musica. I dipinti giovanili, intrisi di Scuola romana ma già segnati da un tratto originale, raccontano di escursioni notturne nella sua Roma di cui amava non la bellezza monumentale ma il segreto di interni e vicoli, lampioni fiochi che accendevano piazzette e scorci, fari di poche macchine e biciclette, fili del tram, facce dolenti e reali. Quei lavori restituiscono l’immagine di una città allo stremo, ma ancora vitale e promettente, e mostrano uno sguardo proteso verso la rappresentazione fulminante del suo mondo, senza maestri né giudizi. Già allora la materia grumosa di terre e bruni si apriva su bagliori di luce gialla, smeraldina e acida, preannunciando le esplosioni di colore delle tele più tarde.
La storia di Titina Maselli
Titina nasce in un ambiente colto e cosmopolita: è figlia del critico Ercole Maselli, sorella del regista Citto e imparentata con i Pirandello. La sua esperienza si arricchisce nel primo trasferimento parigino del ’47 e in quello, fondamentale per la sua maturazione, a New York tra il ’52 e il ‘55. È qui che la tavolozza già materica e luminosa scatena cromie abbaglianti nel riprendere gigantesche ruote di camion, grattacieli che riflettono insegne e tramonti, segnali urbani e squarci di vegetazione accesi da fari notturni, neon raggelanti, impalcature, gru e ringhiere. Tra un preludio all’arte pop, spesso accostata con troppa convinzione al suo stile, e le luci malinconiche e radenti di Hopper, Titina apre il cuore e libera il pennello alle visioni metropolitane in piccola, larga ed enorme scala, accostando marroni e rosa confetto, turchesi e neri, gialli e vermigli su larghe campiture laccate e tagliate da linee e griglie, all’improvviso interrotte da lune silenti, atleti in azione, figure notturne, volti incantati di dive: un mondo febbrile di vita moderna e di energia dinamica, con estemporanei scenari naturali eternizzati in una dimensione metafisica.
L’arte di Titina Maselli
Questa inedita combinazione di sapienza figurativa e coraggio sperimentale diventa la sua cifra anche quando, rientrata a Roma e poi trasferitasi nel ‘69 in quella Parigi che l’accoglie e ne riconosce il ruolo tra i maggiori artisti assegnandole un atelier a La Ruche, amplia ancor di più la scala delle sue tele, inacidendole con l’acrilico e aberrandone le prospettive: sempre colori puri, calciatori, boxeur e ciclisti, scorci inarrivabili, potente energia cromatica e formale. Titina comincia a lavorare “sull’indipingibile insito nella realtà”, come lei stessa osservava. Artista “del suo tempo” come l’amato Manet, nel suo magnifico indipingibile aiutava a sopravvivere tra i mostri della vita contemporanea: li domava con la gioia dei colori, li lanciava in una corsa verso il nulla, per poi bloccarli in un reticolo luminoso e umanizzarli con le pose apollinee degli atleti, remoto ricordo della civiltà della forma e perenne nostalgia dell’assoluto.
Francesca Bottari
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