L’artista che dipinge l’intimità delle nostre case. Intervista ad Arianna Marcolin
Fresca di una residenza a Parigi già in programma di ripetersi, Arianna Marcolin si ispira ai dettagli della nostra quotidianità domestica: interruttori della luce, tazzine di caffè. Ci racconta tutto in questa intervista
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Arianna Marcolin (Schio, 1998) ha da poco concluso tre settimane di residenza immersiva a Parigi, dal 7 al 24 gennaio 2025, presso una casa privata di collezionisti in Rue Saint-Antoine, nei pressi di Place de la Bastille. Un nuovo periodo di residenza, nella stessa sede, è previsto dal 22 febbraio all’8 marzo: i lavori parigini dell’artista saranno oggetto di una mostra a Roma, alla galleria Ex Elettrofonica di Benedetta Acciari e Beatrice Bertini, tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026. Si tratta della quarta personale di Marcolin, dopo Promemoria all’atelier L’IDEA di Vicenza; Stanza Iperbarica ancora alla galleria Ex Elettrofonica; e Cet Amour Caché a Casa Capra Schio (Vicenza), città natale dell’artista, dove la sua famiglia possiede la tipografia Grafiche Marcolin. Nell’intermezzo tra queste due residenze parigine, l’abbiamo intervistata.
Chi è Arianna Marcolin
All’Accademia di Belle Arti di Venezia, dopo il diploma di I livello in Pittura (2021), nel 2023 Marcolin consegue, con lode, quello di II livello in Editoria e Grafica d’Arte. Cruciale, negli anni veneziani, è stata la frequentazione dell’Atelier F del professore Carlo Di Raco. In pochi anni, la pittrice ha partecipato a molte e incisive mostre collettive, accolte in sedi di primo livello, tra le altre: 103ma e 104ma Collettiva Giovani Artisti della Fondazione Bevilacqua la Masa in piazza San Marco a Venezia; sempre alla Fondazione Bevilacqua la Masa – esito della residenza d’artista svoltasi tra settembre 2022 e agosto 2023 – Vedersi da fuori, vedersi da dentro. Gli artisti degli atelier 2022/2023; Petits objets. Politics between Luxury, Pleasure and Art al 229.LAB di Parigi.
Nel 2022, Marcolin ha inoltre partecipato al progetto permanente di Pauline Curnier-Jardin Something Out of It, curato da Francesco Urbano Ragazzi, per la realizzazione di opere pittoriche nel carcere femminile dell’isola della Giudecca a Venezia; nel 2023 ha dato vita alla Folgore di Atena, programma di residenza rivolto ad artiste e poetesse, ospitato a Mazzarino (Caltanissetta), e inserito nel progetto internazionale a lungo termine Cassata Drone Expanded Archive (CDEA), avviato, quest’ultimo, nell’aprile 2016 a Palermo.
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La residenza a Parigi nell’intervista ad Arianna Marcolin
Come è nata l’idea di una residenza artistica a Parigi?
Mentre lavoravo a Milano, nella residenza per artisti VIR Viafarini-in residence, una collezionista romana, che vive a Parigi, ha potuto conoscere e apprezzare di persona i miei dipinti. È nata così la proposta di ospitarmi nella sua casa di Rue Saint-Antoine, vicino a Place de la Bastille.
Su quali temi si è incentrata, finora, la tua ricerca artistica?
I temi della mia indagine si sono focalizzati specialmente sugli interni delle case: luoghi intimi, che vediamo tutti i giorni, e di cui, proprio per questa consuetudine quotidiana, smettiamo di notare i dettagli, così come spesso avviene per le persone che frequentiamo assiduamente.
Quali dettagli di questi ambienti ti ispirano di più?
I miei dipinti hanno sempre preso avvio da un dettaglio riscoperto, che fosse un interruttore della luce, o una tazzina lasciata sul tavolo dopo aver bevuto il caffè. Soffermarsi, casualmente, su qualcuno di questi oggetti porta a riscoprirli e genera associazioni di ricordi, come un’epifania, un’illuminazione su memorie che si svelano con un nuovo significato. Questo è il nucleo tematico dei dipinti realizzati a Milano, in Viafarini, come In the Middle of My Chaotic Frame (olio su tela, 250×200 cm, 2024), che raffigura una camera veneziana dove ho vissuto, ma anche di opere precedenti come Io aspetto fuori (olio su tela, 12×15 cm, 2019), con degli interruttori elettrici, Alibi (olio su tela, 120×93 cm, 2022), dove un limone è abbandonato sopra il tavolo della cucina.
In cosa consiste e quali sono le novità del progetto artistico parigino, che sfocerà nella mostra alla galleria Ex Elettrofonica di Roma, tua quarta personale?
Prevedo che il ciclo parigino sarà composto da un totale di undici tele, in parte di piccole dimensioni e in parte di grande formato. La possibilità di vivere e conoscere una nuova città è coincisa, nel mio percorso, con la volontà di uscire dalla mia zona di comfort e di misurarmi con tematiche inesplorate.
E quali sarebbero?
Ho abbandonato le mura protette della casa e ho iniziato a indagare le infinite possibilità dello spazio pubblico. Ho scoperto il cielo di Parigi, a gennaio, un cielo molto più contrastato rispetto a quello cui siamo abituati noi, in Italia: ho cercato di restituirlo in Cercavo te (olio su tela, 30×20 cm, 2025). In un altro dipinto, Chez Jeannette, ho colto l’istante di un caffè, sul tavolino appoggiati un calice di vino e un paio di guanti neri, il tutto immerso in una luce rossa data dal colore del tavolo e delle candele: una luce sinistra, che mi ha fatto pensare al sangue del corpo e, più specificatamente, al sangue del grembo.
Quali nuove riflessioni sono scaturite da questa residenza?
Lavorando dentro al mio studio, buttando giù schizzi e acquerelli di ciò che vedevo fuori, mi sono anche resa conto che, quando siamo dentro, in casa, e guardiamo dalla finestra, vediamo il paesaggio esterno quasi fosse un ritaglio dell’intero mondo reale, dell’universo che c’è fuori. Ci si rende conto, quindi, che la casa non è solo composta da quello che c’è dentro, ma è anche un punto di vista specifico sul mondo, non solo luogo in sé, ma anche punto di vista su un altro luogo. Interno ed esterno, quindi, non sono entità chiuse, separate, ma si riversano continuamente l’una nell’altra, generando nuovi ambienti.
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L’arte secondo Arianna Marcolin
Qual è il tuo metodo di lavoro?
Realizzo schizzi, disegni, acquerelli, fotografie dei nuovi soggetti che mi interessano; a questo materiale, tuttavia, si sovrappone spesso quello più vecchio del mio archivio personale: una nuova fotografia me ne richiama un’altra, già scattata, e così materiali nuovi e vecchi si sovrappongono continuamente. A Parigi mi sono concentrata spesso sui passanti e sulle persone che vedevo dalla finestra del mio studio, immaginando la loro storia. Inoltre, riflettendo sul pensiero di Foucault, quando stiamo con gli altri interpretiamo un ruolo: beviamo vino o caffè, pronunciamo delle frasi, e tutto ciò fa parte di un sipario sociale attraverso il quale siamo ammessi nella rete delle amicizie e, più in generale, delle relazioni umane. Forse anche perché sono cresciuta in un contesto piccolo, vicino alla natura, personalmente faccio molta fatica a gestire questo sipario in modo efficace; spesso non mi sento in grado di restare all’interno del gruppo e allora mi concentro a fissare dettagli attorno a me, come i bicchieri o le luci: questo mi porta a concentrarmi su particolari che altrimenti non vedrei. Così nascono molti dei miei quadri.
Che significato hanno le dimensioni della tela nel tuo lavoro?
Le dimensioni della tela sono fondamentali, perché il modo di lavorare cambia drasticamente, e questo impatta anche sui soggetti. Nelle tele piccole lavoro più nel dettaglio e il modo di dipingere è molto controllato, ogni minimo particolare è rilevante; in quelle grandi la pittura diventa gestuale, sperimentale. Trovo più stimolante lavorare sulle dimensioni monumentali: lo spazio mi consente di affrontare narrazioni complesse e indagare maggiormente la luce. In generale, penso che conferiscano alla pittura un carattere misterioso.
Com’è stato per te, abituata a contesti piccoli come la tua Schio o Venezia, l’impatto con la metropoli?
Negativo e positivo, come per tutte le cose. Nelle grandi città è possibile andare oltre ai propri limiti, trovarsi a contatto con ogni tipo di persone: a Parigi, per esempio, in qualsiasi momento ci si può imbattere in artisti, registi o scrittori. Certo, intrattenere relazioni sociali è più faticoso, può anche causare ansia, ma le dinamiche sono più varie e interessanti. Probabilmente non mi troverò mai davvero a mio agio nelle metropoli, ma proprio per questo essermi scomode è interessante, perché mi costringe a cambiare abitudini.
Sei nata in una famiglia di tipografi: come questa attività ha influenzato il tuo percorso artistico?
Sono letteralmente cresciuta in mezzo ai libri: a casa ne abbiamo sempre avuti molti, e fin da piccola ho sviluppato una sensibilità e un grande rispetto verso il libro inteso come oggetto. Anche la lettura è sempre stata molto importante: a volte mi chiedono quali artisti mi hanno maggiormente influenzata, e piuttosto che a pittori, il mio pensiero è rivolto agli scrittori e ai filosofi. Dal 2021 realizzo anche pubblicazioni su carta: una che mi è molto cara, tra le altre, è La forma ritrovata, con un testo della poetessa Isabella Leardini, a cura di Giovanni Turrìa: si tratta di una calcografia a tecnica mista, edita in tiratura di centoventi copie per la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia.
Potresti citare, a questo punto, gli artisti – pittori e scrittori – che sono stati per te, negli anni, maggiore fonte di ispirazione?
Tra i pittori: Francis Bacon, Francesco Cima, Leonardo Cremonini, Silvia Faresin, René Magritte, Margherita Mezzatti, Paolo Pretolani, Mark Rothko, Franco Sarnari, Sean Scully e Maddalena Tesser. Tra gli scrittori senz’altro: George Bataille, Guy Debord, Jacques Derrida, Sadeq Hedayat, James Joyce, Lea Melandri, Marcel Proust e Patrick Suskind.
Ultima domanda, un commento sulla residenza da te fondata a Mazzarino, La Folgore di Atena, destinata a sole artiste.
La residenza ha consentito a un gruppo di artiste e poetesse di trascorrere un periodo nell’entroterra siciliano: abbiamo riflettuto su quale possa essere un approccio critico alla militarizzazione in Italia, tema quanto mai scottante, soprattutto in Sicilia. La residenza, infatti, rientrava nel progetto a lungo termine Cassata Drone Expanded Archive (CDEA). Siamo anche andate alla ricerca di siti archeologici: l’archeologia, le rovine, sono sempre state uno spunto molto forte per me. Il mio rapporto con il femminismo è complesso: sono cresciuta in una famiglia molto tradizionale, e non è stato facile perseguire le mie decisioni in modo indipendente, fosse anche solo partire per un viaggio. La mia intenzione, quindi, è che la Folgore di Atena possa diventare uno spazio di libertà per altre donne, per altre artiste. A prescindere dalla questione femminile, comunque, la pittura è per me essa stessa un atto politico: dipingere consente di vivere in un altro tempo, più lento, dove ci si dedica per ore intere a sviluppare un’immagine; è una forma di ribellione verso il tempo, troppo veloce, del presente.Elena Cera
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