Opere come spazio. Intervista all’artista Remo Salvadori

Mostre come oggetti musicali, opere che ricalibrano lo spazio e che chiedono uno sforzo visivo. Angela Madesani ripercorre con Remo Salvadori storia, progetti, pratica

L’incontro con Remo Salvadori (Cerreto Guidi, 1947) è fissato per le 10 e 45 da Building a Milano. La nostra sarà una passeggiata “conversata” da via Monte di Pietà alla Galleria Christian Stein in corso Monforte (da Building la mostra si è conclusa il 18 gennaio, mentre da Stein è ancora in corso fino al 22 febbraio).

Le mostre di Remo Salvadori a Milano

Le opere, realizzate per le sue due mostre, sono basate sui sette metalli che costituiscono il suo alfabeto: piombo, stagno, ferro, rame, mercurio, argento, oro. I lavori della mostra da Building, a sette anni dalla prima che aveva inaugurato lo spazio, sono disposti sulla facciata esterna (stagno) e interna (piombo) dell’edificio e in tre piani della galleria. È un’esperienza di sé nello spazio, in cui come scrive Marco Biraghi nel testo che la accompagna: “La pratica artistica smette di essere un puro esercizio di “ostensione di oggetti”, per trasformarsi nella pratica di un respiro, cui Salvadori attribuisce il valore di una “nascita””.  Non è un’esposizione, dunque, ma un’operazione sullo spazio in cui il ruolo dell’osservatore è portante. Nelle due gallerie si è chiamati a fare uno sforzo visivo che non è comune, si è coinvolti in un’atmosfera che predispone all’attenzione, al contrario del mordi e fuggi al quale il nostro tempo storico ci ha abituati.

Remo Salvadori Copyright © 2024 CHRISTIAN STEIN Srl
Remo Salvadori Copyright © 2024 CHRISTIAN STEIN Srl

Intervista a Remo Salvadori

Si viene accolti da Non si volta chi a stella è fisso (2024), in ferro, che è la correzione di un elemento architettonico a piano terra al centro dello spazio….
Il primo pensiero è stato di trovare un rapporto con l’architettura complessiva del luogo. Ho realizzato otto parallelepipedi per formare una stella a otto punte, ne ho sovrapposte 5, una sopra l’altra, a creare una colonna. Per smorzarne la monumentalità, che non mi appartiene, ho inserito orizzontalmente tra una stella e l’altra della carta d’acquerello. Durante la preparazione della mostra ci sono stati più incontri in galleria con collezionisti e amici per introdurre e condividere con loro aspetti della mia pratica. Testimonianza di questi incontri è l’opera L’osservatore non l’oggetto osservato: 11 cavalletti che misurano l’altezza degli occhi di queste persone, realizzati in ferro nei colori scelti da loro e in corrispondenza con l’opera “Alfabeto”. 

Ora ci troviamo di fronte agli Osservatori. Nel corso degli anni di utilizzo dei metalli, le loro corrispondenze, i loro significati originari e profondi, ti sono venuti incontro?
Lo spazio, la galleria non è un luogo di consumo, ma un luogo per fare un’esperienza di sé. Per fare ciò è necessario fornire delle chiavi che permettano di avvicinarsi a questa pratica. Il cavalletto, è entrato nel mio universo nel 1979. Sono andato a Chieti a vedere il Guerriero di Campestrano e in città ne ho comprato uno molto piccolo che per anni ho portato sempre con me. Ho compreso così alcune sue funzioni: si utilizza, per esempio, per fotografare, con tempi lunghi, soggetti in movimento o quando c’è poca luce. Ho sentito queste funzioni in rapporto alla mia pratica pertanto l’ho assunto come archetipo di sguardo.

Spiegaci meglio…
In tal senso è diventato un mio oggetto. Stando con esso mi ha rivelato che il vero valore sta in colui che guarda. Per esempio, Angela guarda questa colonna, quindi c’è una direzione che va da Angela alla colonna però c’è anche una direzione che dalla colonna va a Angela e poi c’è la terza forza, l’aspetto più importante, il fatto che siamo consapevoli di essere qui. Mi viene da evocare tre parole meravigliose: rammentare con la mente, ricordare col cuore e rimembrare con le membra. 

Building è diventato con la tua mostra un oggetto musicale, che emana un ritmo: Alveare di rame, di quasi 25 metri di estensione, alto due metri ottanta e profondo un centimetro. Si percepisce la vibrazione.  
Alveare è un’opera ambientale, un suono, un ritmo che ha trovato nella mia pratica più momenti. Intuita negli anni ’80, ha trovato nel rame calore, ritmo e suono…luogo della febbrile armoniosa opera del piccolo insetto sociale, dal fiore al polline, all’azione solare, il miele, la cera, la forza esagonale, il volo nuziale: la regina, l’operaia, il fuco, lo sciame. L’universo di suono…un incontro mirabile.
Non coltivo la linearità. Sono interessato, piuttosto, a congiungermi con tutti gli aspetti vibrazionali dello spazio-tempo.

Al primo piano è Nove giornate alla realizzazione della quale hanno partecipato otto persone oltre a te. 
È fare un’esperienza con l’acquarello e un solo colore. Cosa vuol dire? Stare con quel colore. Ho iniziato e ho capito che era quasi una vanità procedere da solo e quindi ho chiesto alle persone che in quel momento mi erano vicine di operare con me. L’esito nasce dalla sensibilità di queste persone, è, in qualche modo, un’opera relazionale. Ho preparato il colore e ognuno di loro si è cimentato in momenti differenti. Elena Quarestani, che ha partecipato, ci ha messo a disposizione uno spazio con grandi tavoli ad Assab One. 

Remo Salvadori, Nel momento (dettaglio), 2016 – 2021  argento, 273 × 175 × 3 cm, 14 elementi, ph. Agostino Osio
Remo Salvadori, Nel momento (dettaglio), 2016 – 2021 argento, 273 × 175 × 3 cm, 14 elementi, ph. Agostino Osio

Su una parete è un’altra grande installazione, sempre ad acquarello sui toni dell’indaco, il cui titolo è Triade. È composta da disegni con riferimento a un particolare bicchiere, un soggetto che entra nel tuo lavoro nel 1989. Mentre guardiamo il lavoro Remo diffonde con il suo cellulare un brano musicale, un canto gregoriano l’Offertorium Recordare Virgo Mater.  Siamo sospesi in una dimensione al di là del nostro tempo. 
In una dimensione ascensionale saliamo al piano superiore. Troviamo 
Due tazze (2024), opera bidimensionale in oro e piombo. L’osservatore entra nell’oro dell’opera e lo completa come se fosse la perla di una conchiglia.
Per me è perla colui che si trova a guardare. Oro e piombo sono le due polarità, i due estremi dell’”Alfabeto” dei metalli. La polarità è un punto particolare. Quest’opera rivela la tensione del tempo presente, corrisponde al momento che sto vivendo. 

Rispetto alla mostra di sette anni fa parecchio è mutato. 
Adesso c’è un’altra maturità dello spazio con la quale mi confronto. Qui c’è il piccolo cavalletto dorato che è lo sguardo di un puer, in questo caso il mio nipotino, Sol, di cinque anni e mezzo. 

L’età dell’oro, dell’infanzia, evocata da Virgilio. 
L’opera è da vivere non solo da guardare avvolge lo spazio, si fa abito. 

È una pelle. 
Una pelle che entra in contatto con la città. Ho lavorato a stretto contatto con il gallerista, Moshe Tabibnia. Non mi interessa pormi frontalmente rispetto all’altro. Dove nasce il rapporto con l’altro? Nello spazio in più. Ciò che viviamo come esperienza complessiva di ognuno di noi produce uno spazio in più, quindi i veri rapporti sono nello spazio in più, in questo spazio che non è occupato dall’altro e non è occupato da me.
Lo spazio in più crea la nuova figura, quella dell’incontro. Non c’è conflitto quando c’è rispetto della sacralità dell’altro, la crescita avviene nello spazio in più. 

Con la mia piccola Ami elettrica ci spostiamo alla galleria Stein. Entriamo nell’ufficio della galleria, dove sul muro è Alfabeto del 2000. Remo cita Henri Focillon, un piccolo frammento da La vita delle forme: «Ogni scultore è destinato ad una propria materia d’elezione e ogni materia porta racchiusa in sé la propria vocazione formale»”.
Trovo qui la vocazione formale di ogni metallo di cui nel tempo ho trovato   più corrispondenze per ognuno. Con la costante attenzione ai metalli sono nate queste opere. 

Sono relazioni tra metalli le otto opere poste sulle alte pareti della galleria, ubicata in un antico palazzo del cuore di Milano, che affaccia su un parco. In quel palazzo aveva il suo studio Lucio Fontana. Sono intitolate tutte Nel momento, sono tutte del 2024, come Lente liquida, l’installazione di vetro di Boemia, acqua, rame e foglia d’oro, posta al centro della stanza. Le opere presentano delle aperture. È un’ulteriore modalità di accoglienza.  Sergio Risaliti nel testo che accompagna la mostra ha scritto: “Nel momento è una forma risonante che muta la qualità dello spazio intorno e attiva un’esperienza interiore in stretta connessione con l’aperto e con gli altri. La scelta dei metalli corrisponde a una conoscenza approfondita delle qualità e vibrazioni degli stessi secondo una sapienza millenaria diffusa da nord e sud, est e ovest attraverso l’alchimia, la scienza sacra e l’antroposofia che mettono in collegamento terra e cielo, l’uomo e la sua origine, l’io interiore con il mondo della vita e l’universo infinito”. Ancora una volta si evidenzia il rapporto dell’opera con lo spazio che la ospita, un rapporto tutt’altro che scontato come già al Building.
Preparando queste opere ho pensato molto a Mark Rothko, alla sua cappella di Houston. Riguardandole nel loro insieme, forse le avrei appese ancora più alte per distanziarle maggiormente da questo cuore che sono le 4 “lenti liquide”. Qui possiamo trovare il collegamento tra le opere delle due gallerie. C’è una dimensione organica e anche qui c’è la stella, formata da questi corpi di acqua. È un aspetto vivente. Il cerchio d’oro è la risultante di questa esperienza contenuta in Continuo infinito presente. Ho suonato a lungo i contenitori prima di riempirli d’acqua. Ogni vaso ha un diametro diverso. Pieno e vuoto.  A un minimo movimento tutto muta.

Angela Madesani

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Angela Madesani

Angela Madesani

Storica dell’arte e curatrice indipendente, è autrice, fra le altre cose, del volume “Le icone fluttuanti. Storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia”, di “Storia della fotografia” per i tipi di Bruno Mondadori e di “Le intelligenze dell’arte”…

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