Milano riscopre James Brown: uno dei grandi artisti del Neo-Modernismo americano
La Galleria Scaramouche inaugura la nuova sede milanese con un invito a riscoprire il grande James Brown, che negli Anni ‘80 espose accanto ad artisti del calibro di Basquiat e Haring

Modernismo, Art Brut, Graffitismo e continui rimandi a un Primitivismo che oscilla tra arte tribale africana ed Etruschi. Un “Basquiat mancato” – forse per temperamento troppo semplice e genuino – lo definiscono Daniele Ugolini e Simone Ferretti, due dei soci della Galleria Scaramouche di Milano. Parliamo di James Brown (Los Angeles, 1951 – Messico, 2020), artista protagonista della scena newyorkese tra Anni Settanta e Ottanta, per nulla inferiore ai “grandi nomi” affermatisi nello stesso periodo. E, nonostante ciò, oggi se ne parla meno, troppo poco, a causa di un seguito biografico che lo ha distanziato dalla fortuna di Keith Haring, Schnabel, per non parlare di Basquiat. Dopo la tragica morte in un incidente d’auto in Messico, nel 2020, è ora in mostra a Milano, a pochi metri dalla Fondazione Prada. Un’occasione preziosa per riscoprire la sua produzione, con un corpus espositivo di quasi 30 opere che ne onorano il ricordo.
Chi è James Brown
Gli elementi chiave della sua ricerca sono già emersi. Dopo gli studi in pittura a Hollywood, nel ‘74 raggiunge Parigi, per immergersi nella vitalità artistica di quegli anni. Vede e assorbe il Primitivismo di Picasso e Matisse, nonché gli esperimenti degli Outsider di cui Dubuffet è capofila. Le forme arcaiche e tribali lo ispirano: una cifra stilistica che porta avanti anche nel decennio successivo, quando si sposta a New York. Gli anni tra il 1981 e il 1986 – focus temporale della mostra – segnano l’apice della sua parabola creativa. È allora che si unisce ai Neo-modernisti dell’East Village, Basquiat, Haring, Schnabel, Scharf e Futura 2000, a cui si somma l’input più astratto di Antoni Tàpies e Cy Twombly. Da queste molteplici commistioni nascono opere subito di grande successo, che lo vedono tra gli eletti di importanti galleristi, quali Tony Shafrazi e Leo Castelli, nonché in mostra a Napoli, da Lucio Amelio, a Los Angeles da Larry Gagosian e a Zurigo da Bruno Bischofberger. Ma il successo non è tutto per Brown. Come ricorda oggi Daniele Ugolini, il clima newyorkese lo stanca e lo riporta prima in Europa e infine in Messico. Passerà lì gli ultimi anni, occupandosi della Carpe Diem Press – da lui fondata a Oaxaca nel 2000 con Alexandra Condon – e continuando a dipingere, pur lontano dai maggiori riflettori.

Una mostra per onorare il ricordo di James Brown
Questa mostra giunge a conclusione di una lunga gestazione, attraversata prima dal tragico incidente che si è portato via James e la moglie Alexandra Brown, e poi dalla Pandemia. Frutto del rapporto personale tra la Galleria Scaramouche – fino a poco tempo fa con sede a NY – e i figli eredi, porta a Milano il periodo d’oro dell’artista. Uno degli intenti è quello di contribuire alla sua riscoperta, illustrandone la fase produttiva più prolifica e piuttosto allineata ai coetanei più celebri, il cui maggior successo è in parte anche dovuto alla loro storicizzazione precoce. Sia Haring sia Basquiat, infatti, moriranno dopo pochi anni, a differenza sua.






James Brown in mostra da Scaramouche a Milano
I tre ambienti principali della nuova sede milanese della Galleria Scaramouche restituiscono una selezione variegata di opere di James Brown, comprendente lavori in ceramica, pitture su tela, su carta e persino su legno intarsiato. Tutte risalenti a quei sei anni newyorkesi chiave. Malgrado la diversità di supporti – ci sono persino rovesci di carte geografiche d’epoca disegnati – ricorrono alcuni elementi fondanti. Personaggi, oggetti e motivi che compongono il suo immaginario grafico personale, che pesca dalla mitologia, dai riti arcaici, dai graffiti e dalla religione cristiana. Si distinguono le maschere, quasi onnipresenti, assieme a figure umane stilizzate fino all’essenziale, al pari di bronzetti votivi etruschi o incisioni preistoriche. E non mancano i riferimenti precisi: il martirio di san Sebastiano – trafitto da moltissime frecce – o san Bartolomeo. E ancora il ritratto dedicato (con tanto di testo sul retro) a Andy Warhol, che per l’occasione si fece da sé la cornice del quadro e realizzò a sua volta un volto dell’amico. Anche la scelta dei colori merita una menzione. Abbondano le tinte terrose, che fanno da sfondo a colori più accesi, simili alle pareti di roccia su cui i primitivi realizzavano le loro forme di “arte”, rese con olii, smalti e acrilici. Le più singolari sono però quelle realizzate mediante le cosiddette “dispersion paint”: pitture di uso industriale, normalmente usate per verniciare componenti metallici. A completare la mostra, sarà presto pubblicato un catalogo, con due saggi a firma di Demetrio Paparoni e Richard Milazzo, tra gli scrittori più noti della New York Anni ‘80 e carissimo amico di Brown.
Emma Sedini
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati