Un nuovo polo per l’arte contemporanea a Venezia in un’ex fabbrica di sapone. Intervista all’ideatore 

Un collezionista che sceglie di condividere l’arte, un’ex fabbrica di sapone trasformata in spazio espositivo e una città con una storia artistica unica. Laurent Asscher racconta il progetto AMA Venezia e la sua visione, che abbraccia pittura, intelligenza artificiale e nuove sperimentazioni

Nato in Belgio, ma con una prospettiva internazionale e un forte legame con Venezia, Laurent Asscher, imprenditore e collezionista, entra nel mondo dell’arte nel 2012, quando acquista la sua prima opera — Irony of a Negro Policeman (1981) di Jean-Michel Basquiat — dopo la vendita di una delle sue aziende. Da quel momento, la passione diventa collezione, e la collezione diventa progetto. E quel progetto prende oggi forma concreta in laguna, con AMA Venezia, uno spazio espositivo indipendente, che porta il nome dei suoi tre figli, situato nel cuore di Cannaregio, tra le mura di un’ex fabbrica di sapone restaurata dallo studio TA Torsello Architettura. Ma qual è l’idea dietro AMA Venezia? Ce lo racconta lo stesso Asscher in questa intervista. 

Un ritratto di Laurent Asscher
Un ritratto di Laurent Asscher

Intervista a Laurent Asscher

Laurent, partiamo dall’inizio: cosa l’ha spinto a creare AMA Venezia e perché proprio qui, in una città con una storia artistica così unica? 
Quando inizi a collezionare, all’inizio lo fai per te stesso. Ma molto presto ti rendi conto che l’arte è fatta per essere condivisa. Tenere una collezione chiusa in un deposito non ha senso. Ci sono diversi modi per condividerla: puoi prestare le opere ai musei oppure creare il tuo spazio. Io ho scelto la seconda opzione. E ho scelto Venezia perché è una città con una lunga tradizione di collezionisti che aprono le loro porte al pubblico. Peggy Guggenheim lo ha fatto, così come François Pinault e Miuccia Prada. Far parte di un ecosistema dinamico è fondamentale. Quando un collezionista decide di aprire uno spazio in una città già ricca d’arte, contribuisce a renderla ancora più viva. 

Ha iniziato a collezionare nel 2012, cosa ha acceso questa passione? 
Sono sempre stato attratto dall’arte, ma non avevo ancora fatto il passo verso il collezionismo. Poi, nel 2012, dopo aver venduto una delle mie aziende, ho avuto l’opportunità di acquistare il mio primo dipinto: un Basquiat. Da quel momento, sono diventato un collezionista e non ho più smesso. Collezionare è qualcosa di istintivo. Lo dico sempre: che si tratti di sneakers, libri o dipinti, una collezione non è mai veramente finita. È un percorso, una passione che cresce ed evolve nel tempo. 

L’edificio, con il suo passato di fabbrica di sapone, ha una forte identità. In che modo ha influenzato il progetto architettonico? 
Lo spazio è stato restaurato da un team interamente veneziano: lo studio TA Torsello Architettura. Avevo già lavorato con loro in passato e sapevo che avrebbero trovato il giusto equilibrio tra una visione contemporanea e il rispetto della storia. Fin dall’inizio, abbiamo deciso di intervenire solo dove necessario. I muri, ad esempio, sono rimasti intatti. Hanno più di 600 anni, e volevamo che i visitatori potessero percepirne la storia entrando in AMA. Abbiamo rifatto i pavimenti per proteggerli dall’acqua alta, restaurato il tetto, ma sempre con un profondo rispetto per l’essenza dell’edificio. 

AMA Venezia: il nuovo spazio di Laurent Asscher

L’esposizione mette in dialogo intimità pittorica, intelligenza artificiale e rendering 3D. Come è nata questa idea curatoriale? 
Volevo creare un dialogo tra due estremi: da un lato, artisti come Elizabeth Peyton e Mohammed Sami, che incarnano la pittura nella sua forma più intima e gestuale; dall’altro, artisti come Refik Anadol, che lavorano con l’intelligenza artificiale e i media digitali. Questi due mondi non sono più in competizione: coesistono e sono entrambi pienamente riconosciuti come linguaggi artistici contemporanei. AMA Venezia ci permette di presentare opere che altrove potrebbero non trovare spazio. Pensa a Female Figure di Jordan Wolfson, per esempio. Non è solo un’opera d’arte: è un’esperienza, qualcosa che va vissuto di persona.

Lei è fortemente impegnato nel supporto agli artisti viventi. Perché è così importante oggi? 
L’obiettivo è offrire una piattaforma per l’arte contemporanea. Questo non significa che non esporremo mai artisti del passato, ma non vogliamo essere uno spazio dedicato all’arte dell’Ottocento o del primo Novecento. Vogliamo dialogare con il presente, dare a Venezia un luogo in più per la sperimentazione e le nuove idee. Alcuni artisti che esponiamo potrebbero essere scomparsi di recente, ma il nostro focus resta su ciò che sta accadendo ora. 

Come immagina l’evoluzione di AMA Venezia nei prossimi anni? Rimarrà incentrato sulle mostre o prevede residenze, talk ed eventi educativi? 
Abbiamo la possibilità di ospitare residenze, ma non avremo un programma strutturato. Se un artista ha un progetto specifico che richiede tempo e spazio, possiamo offrire questa opportunità, ma AMA rimarrà principalmente uno spazio espositivo. Tutto cambierà per la prossima Biennale: ospiteremo anche talk con artisti e pensatori su tematiche specifiche. 

Nel mondo dell’arte, sempre più guidato dalla visibilità e dai numeri, lei parla di “sorrisi” e profondità dell’esperienza come misura del successo. È una scelta consapevole in contrasto con l’approccio mainstream? 
Durante la Biennale, Venezia accoglie circa 800mila visitatori interessati all’arte contemporanea. Un’istituzione di rilievo come le Gallerie dell’Accademia ne riceve 300mila all’anno. Ma per noi il successo non si misura in numeri. Non cerchiamo di attrarre masse sacrificando la qualità. Crediamo che, se creiamo mostre di altissimo livello, il pubblico giusto arriverà naturalmente. 

Asia Miniutti 

AMA Venezia
Fondamenta de Ca’ Vendramin,
Cannaregio, 2395, Venezia
Opening 9 aprile 2025
https://www.ama.art/it

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