Gli anni dell’amianto raccontati a Pescara nelle opere di Luca Vitone
Con una delle sue installazioni olfattive che sa di rabarbaro, l’artista rievoca la tragica storia di Casale Monferrato legata all’amianto, rendendo indelebile il ricordo di tutto il pubblico che si trova a sentirla

L’eternità è qualcosa che non ha né inizio né fine, che esiste e continua sempre. Luca Vitone (Genova, 1964) esplora questo concetto ermetico e apparentemente semplice attraverso un gioco di parole tra memoria storica, società e potere, che si manifesta negli spazi della Fondazione La Rocca di Pescara in per l’eternità. Premessa per una trilogia, la mostra a cura di Francesca Guerisoli.
Gli acquerelli e i collage di Luca Vitone a Pescara
Le opere a parete iniziali ci inseriscono il pubblico nella riflessione materica di Vitone: in primis l’acquerellorealizzato con le polveri del luogo (Stanze, Fondazione La Rocca, Pescara, 2024) e poi i collage per l’eternità(2013 – 2024), in cui delle piante di rabarbaro si assemblano negli interni ritratti. Il tutto crea un’invasione visiva frammentata che proietta già verso la fase finale del percorso espositivo.





L’eternit riletto da Luca Vitone alla Fondazione La Rocca di Pescara
Dall’altro lato, in per l’eternità (Casale), l’artista esplora con realistica tridimensionalità la storia di una città legata alla produzione dell’eternit: una serie in cui la polvere di cemento offusca e appanna la nitidezza delle fotografie di Casale Monferrato. Il video di fronte alla scala gli fa da contraltare, evidenziando con dei fermo immagine strazianti il carico emotivo e politico di una tragedia. Un immobilismo simbolico che continua a gravare sulla città, e che Vitone condensa, quasi sfidandoci con una domanda, nella scultura per l’eternità (eternit), 2013.
Il ricordo indelebile della mostra di Luca Vitone a Pescara
L’altro fulcro della personale è costituito dalla scultura acromatica monolfattiva per l’eternità, presentata al Padiglione Italia della 55a Biennale di Venezia (2013), che in questa sede ritorna come emblema vivo delle vicende legate all’amianto/eternit. L’installazione abitabile, realizzata in collaborazione con Maria Candida Gentile, diffonde l’odore di rabarbaro impregnando tutto l’ambiente. Il pubblico può così respirarlo, immergendosi in una memoria invisibile, ma al contempo forte e drammatica. L’essenza rimane nel naso – anche quando si esce dalla sala – rendendo l’evocazione di quello scenario persistente e fornendo un’esperienza sensoriale ed estetica quasi traumatica.
Cecilia Buccioni
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