Come ci vedono davvero gli animali? Lo racconta una mostra a Venezia
Gli animali che guardano noi, e noi che guardiamo loro. È questo il tema della mostra di Mattia Sinigaglia, che prova a guardare nella testa di volpi, gatti e non solo
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Restituire la soggettività dello sguardo animale e immedesimarsi con le creature non umane è l’obiettivo principale della mostra personale di Mattia Sinigaglia (1989), L’animale che dunque sono, presso la galleria veneziana APlusA. Accompagnato da un evocativo e spiritoso testo di Piergiorgio Svaluto Moreolo, l’allestimento esplora punti di vista inattesi e curiosi.
“Gli animali che dunque siamo” secondo Mattia Sinigaglia
Una volpe maestosa è ferma, vigile, immersa in un paesaggio surreale e solenne. L’animale fissa lo spettatore negli occhi, cercando di anticipare la prossima mossa, pronto a fuggire. Una notte in cui Sinigaglia guidava attraverso i boschi verso il suo studio, un riflesso abbagliante ha colto una volpe, mettendo l’artista in contatto visivo con lei per alcuni istanti, mentre aspettava per farla attraversare in sicurezza.
Questo aneddoto è raccontato su una grande tela, dove l’immagine dell’animale è resa nei minimi dettagli,incorniciata dalla silhouette di un volto dell’antica Grecia. A differenza della volpe, questa figura onirica appare distante, quasi evanescente. L’opera intitolata Ti vede è un passo in avanti verso la natura, un contatto diretto con la nostra essenza animale, dove la cultura si trasforma in un velo, una sagoma che ci separa da un contatto diretto e intimo con la natura, maestosa e antica. La volpe ci osserva, sa che siamo qui e che, in fondo, siamo simili a lei.
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Jacques Derrida e il suo gatto nella mostra di Mattia Sinigaglia da APlusA a Venezia
Il titolo della mostra deriva dalla lezione tenuta da Jacques Derrida nel 1997, in cui raccontò di essersi trovato completamente nudo, appena uscito dalla doccia sotto lo sguardo del suo gatto. L’intimità del momento, la sensazione di vulnerabilità e vergogna provata dal filosofo, suscitò una profonda riflessione sulla soggettività degli animali.
L’interesse per il punto di vista appartenente ai soggetti non-umani spinge anche Sinigaglia verso lo studio della percezione. In particolare, nell’opera Il Gatto di Derrida, l’animale è ritratto alla maniera gotica, colto nell’atto di auto-pulizia. Questa raffigurazione leggera e giocosa si oppone alla visione medievale che attribuiva ai gatti una natura demoniaca, restituendo loro il diritto di esistere e agire secondo la propria natura. La tela è arricchita da una testa di Jacques Derrida stesso in ceramica: il fumo che fuoriesce dalla pipa del filosofo richiama la forma di un occhio, che osserva mantenendo la propria posizione soggettiva.
Le sfumature naturali nel lavoro di Mattia Sinigaglia a Venezia
La formazione pittorica di Sinigaglia guida il suo processo creativo. Partendo sempre dall’olio e tela, l’artista sviluppa le sue opere lasciandole evolversi liberamente. Questo approccio ha introdotto nella sua pratica l’uso di legno pregiato e ceramiche; elementi che escono dalla realtà bidimensionale della tela, creando un dialogo tra l’attrazione della figurazione e la libertà dell’astrattismo.
La scelta di lavorare con materiali così diversi tra loro è rara per un pittore, eppure riflette perfettamente l’aspirazione di Sinigaglia a cogliere con lo sguardo la natura nella sua varietà di sfumature, raffigurando gli elementi della vita stessa. O, come ha brillantemente osservato Piergiorgio Svaluto Moreolo nel suo testo, della “Vita che vive”.
Valeria Radkevych
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