A Roma una mostra esplora contraddizioni e paradossi della narrazione
Tra verità e finzione Laurent Montaron in “To Tell a Story”, la sua personale alla galleria Monitor, indaga il rapporto tra storytelling e realtà, tenendo presente che la forma orale è stata a lungo la principale fonte di trasmissione delle conoscenze

Narrazione come cronaca o come invenzione? Queste le due polarità dello storytelling tra cui spazia la riflessione di Laurent Montaron (Francia, 1972), a partire dall’intervista televisiva di Susan Sontag To Tell a Story che, nel 1983, parlò di narrazione come strumento valido per raccontare i fatti e creare finzioni, ovvero per inventarli.
L’artista, in occasione della sua personale alla galleria Monitor di Roma, che per l’appunto mutua il titolo dalla citata intervista, To Tell a Story, affronta questo tema con tre serie di lavori: fotografie, oggetti e dispositivi sonori.
Montaron e la narrazione come atto creativo
Montaron esplora il modo in cui ci rapportiamo al mondo attraverso le narrazioni che, nel momento in cui descrivono la realtà la ricreano secondo un determinato punto di vista. Per trasmettere questo concetto la mostra presenta numerosi livelli di lettura e di interpretazione, giocando su paradossi e contraddizioni che culminano nelle installazioni sonore con il coinvolgimento attivo degli spettatori che, in quanto testimoni del fenomeno, ne diventano a loro volta potenziali narratori.
Le fotografie sui filosofi di Laurent Montaron
Con la prima serie di fotografie, l’artista prende le distanze dalla religione; dal momento che la fede, sostituendo l’atto del credere a quello del pensare, castra, o quantomeno ostacola, sul nascere i tentativi di speculazione filosofica e razionale sulla realtà. Così, l’artista riprende la celebre massima del gruppo sessantottino Per una critica rivoluzionaria: “Nonostante l’inesistenza di Dio, nulla è permesso” che ribaltava l’aforisma di Dostoevskij: “Se Dio non esistesse tutto sarebbe permesso”, privandolo però del substrato ideologico, dal momento che le speranze coltivate all’epoca sono brutalmente naufragate, anche a causa della rinascita delle credenze religiose. Contemporaneamente, Montaron si sofferma sulle origini del pensiero razionale, ovvero sui filosofi presocratici che, per primi, tentarono di distanziarsi dal mito per dare una spiegazione logica della realtà e dell’origine del mondo. Talete, Eraclito e Parmenide, sono rappresentati attraverso delle immagini che, scattate nei rispettivi luoghi di nascita, ne rispecchiano per metonimia il pensiero. Con la Porta dell’Anfiteatro di Mileto, 2024, Montaron racconta Talete, primo matematico, geografo e astronomo della storia, fondatore della celebre scuola. I fiumi Meandro / Caystre, 2024 rappresentano Eraclito, richiamando il famoso motto “Panta rei – tutto scorre”, per cui “non è possibile bagnarsi due volte nello stesso fiume”. Il Cielo di Elea, 2024 ritrae metaforicamente Parmenide, il primo a ipotizzare la sfericità della Terra e la rifrazione del sole nella luna. Opere con cui Mantaron crea un paradosso gnoseologico, contrapponendo implicitamente l’approccio empirico di questi filosofi, a quello speculativo o teoretico, adottato per la trasmissione delle loro conoscenze. Infatti, se questi sapienti formularono le loro teorie basandosi esclusivamente sull’osservazione il più possibile oggettiva della realtà, non disponendo delle strumentazioni per verificarle; gli esegeti, cristallizzandole in narrazioni, le privarono della loro immediatezza, trasformandole in “storie”.






I “Papiers insolés” di Laurent Montaron
Su questa scia, l’artista propone la serie di Papiers insolés: Cellofix / Citratas / Contrastas, 2024. Con cui propone fotografie di fotografie. Opere realizzate con preziosa carta degli anni Venti, concepita per la stampa a contatto o per essere esposta all’ingranditore e sviluppata con un developer. Montaron, adottando l’escamotage delle meta-fotografie, crea un paradossale gioco di rimandi: trasformando il mezzo, ovvero la carta fotografica con cui ha realizzato i lavori, nel soggetto stesso delle composizioni, ed ottenendo, quindi, delle fotografie che rappresentano se stesse. Come se l’artista riuscisse a mettere contemporaneamente in scena l’immagine fisica della fotografia e la sua narrazione visiva.

Montaron: le installazioni sonore come narrazione in fieri
Dalla parola, si passa all’immagine per poi arrivare al suono con: Voices of the Theatre, 2024; Two Sine-Square Audio Generators, 2025; Apple Boxes, 2018. Oggetti sonori, nello specifico: altoparlanti, diffusori e casse, di diverse epoche, che emettono frequenze alterate, prodotte in tempo reale. Suoni inusuali, stranianti che per essere decodificati richiedono inevitabilmente un’interpretazione da parte dei presenti; azione che trasforma istantaneamente il visitatore in narratore, facendolo diventare parte integrante della mostra. E nella misura in cui ciascun visitatore elabora una propria versione dell’esperienza, l’artista dimostra concretamente che la narrazione, come restituzione obiettiva della realtà, è di per sé una contraddizione. Come insegnano anche celebri capolavori cinematografici come Rashōmon, 1950 di Akira Kurosawa o Blow Up, 1966 di Michelangelo Antonioni, la memoria è selettiva (e creativa) e lo stesso avvenimento può dare adito a delle narrazioni completamente diverse; in cui ciascun individuo coinvolto plasma la realtà secondo le proprie velleità ed esigenze. Poi, volendo andare ancora più a fondo, attingendo alla fisica quantistica, poiché l’esperienza è per definizione mediata, si potrebbe mettere in discussione il concetto stesso di realtà come verità, adottando un’ottica di pensiero polivalente e aperta ad accettare l’esistenza di infinite e multiformi possibilità.
Ludovica Palmieri
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