Al MASI di Lugano l’artista Louisa Gagliardi esplora le nuove forme del perturbante
Fortemente coinvolgenti a livello di atmosfere, le “tele digitali” dell’artista svizzera mettono in discussione pregiudizi estetici e suscitano interrogazioni sulla natura contemporanea dell’immagine

Pochi anni fa, la diffusione del concetto di Post Internet sembrava presagire un armistizio tra estetica digitale e analogica: secondo l’accezione più corrente di questa espressione, infatti, i mezzi digitali influenzano inevitabilmente le creazioni di pittori e scultori, ma sono ormai talmente interiorizzati da non dover essere nemmeno per forza utilizzati direttamente.
Chi è Louisa Gagliardi
Lavori come quelli di Louisa Gagliardi (1989, Sion, vive a Zurigo) evidenziano invece come la lunga storia fatta di avvicinamenti, ostilità, intersezioni e alleanze tra analogico e digitale sia ancora in corso – soprattutto in seguito alla diffusione massiccia del nuovo immaginario digitale relativo ai social network.
La personale Many moons al Masi di Lugano, curata da Francesca Benini, dimostra come l’artista svizzera ricerchi e metta in atto un punto di intersezione peculiare in questo senso.
La mostra di Louisa Gagliardi al MASI Lugano
Muovendosi negli articolati spazi della mostra, che si estende in tutto il piano interrato del Lac, ci si trova di fronte a lavori che non rinunciano affatto ai “luoghi comuni” della pittura, anzi li estremizzano; eppure, la realizzazione avviene al computer, dato che l’immagine viene creata digitalmente, successivamente stampata su tela e in qualche caso lievemente ritoccata a mano.
La verosimiglianza non è il punto, e men che meno la fedeltà a un astratto ideale pittorico. La riflessione verte invece sullo status ibrido dell’immagine contemporanea e sulla conformazione attuale dell’immaginario collettivo. Dove finisce la realtà e dove inizia l’immaginazione? L’artificio è il nostro destino irrimediabile, oppure si può pensare di uscirne, come individui o come collettività?
A giudicare dalle immagini create dall’artista, lo stato delle cose è perturbante: le persone raffigurate appaiono intrappolate in un’atmosfera di oblio, disorientate riguardo alla distinzione tra se stesse e il mondo, tra dimensione interiore e realtà effettiva.







Lo stile e la pratica di Louisa Gagliardi
Eppure, né l’atmosfera decisamente cupa né la parziale freddezza dovuta all’elaborazione digitale annullano il fascino diretto delle immagini, la bizzarra attrazione che esse generano in chi osserva. È paradossalmente “bello” perdersi negli spazi metafisici che si aprono sulla tela, nella solitudine silenziosamente condivisa dai protagonisti, nelle inversioni di prospettiva e di senso che caratterizzano le scene.
A livello stilistico, saltano i confini tra arte “alta” e riferimenti underground, ci si pone volutamente in un punto mediano tra sperimentazione, anacronismo e kitsch – e tutto ciò smarca l’artista da una certa ondata surrealisteggiante oggi in voga. In fondo, si esce dalla mostra leggermente spaesati, senza avere un giudizio definito nei confronti di ciò che si è visto. Si è, invece, spinti a una riflessione su “che cosa” si è visto, sulle motivazioni per le quali immagini così “irregolari” ci abbiano dato momenti di coinvolgimento e di piacere estetico: un risultato non da poco.
Stefano Castelli
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