A Roma una mostra per riflettere su detenzione, antropologia e libertà
Un progetto dalla connotazione personale quello di Mariana Ferratto a The Gallery Apart, con cui esplora, attraverso una lunga ricerca sul tema della detenzione, il valore della comunicazione come espressione di identità e libertà

“Al di là delle contingenze materiali, la libertà è una condizione interna che, come insegnano i detenuti, si può trovare anche in gesti apparentemente piccoli ma carichi di significato”. Questo il messaggio di speranza che Mariana Ferratto (Roma, 1979) vuole trasmettere con la personale Libertà Clandestine. Mostra particolarmente significativa, tanto da far confluire negli spazi della romana The Gallery Apart un’esposizione già in parte oggetto di una programmazione museale. Le opere, infatti, nate nell’ambito del progetto Memoria de la Materia, sostenuto dall’Italian Council, sono il prodotto di un lungo lavoro di ricerca focalizzato sul tema della detenzione per motivi politici; condotto, prima all’estero e poi in una residenza presso il MAD – Murate Art District di Firenze.

Un progetto antropologico, sociale ma anche personale
L’artista, oltre ad approfondire tematiche antropologiche e sociali, da sempre al centro della sua ricerca, ha colto l’occasione per scavare nella sua storia personale di italiana di origini argentine, figlia di esuli politici, sopravvissuti all’esperienza del carcere durante la dittatura di Videla. Il percorso espositivo è dunque anche l’esito di una vera e propria indagine con cui la Ferratto è entrata in contatto con ex prigionieri politici, guadagnandone il rispetto e la fiducia.
A Roma Mariana Ferratto riflette sulla libertà
La mostra è focalizzata sul tema della libertà come espressione di sé nel rapporto con gli altri; nella misura in cui, in un contesto detentivo che impedisce ogni forma di contatto e relazione con l’esterno, la libertà clandestina più grande si estrinseca comunicando, dando notizie di se; tanto in termini diretti di comunicazione attiva, come dialogo; quanto in termini indiretti di memoria e ricordo.
La mostra di apre con L’abbecedario del linguaggio, un toccante lavoro in cui l’artista coinvolge suo padre che, in un video, tradotto poi in una performance e in un corpus di disegni, le insegna il Tumbero, ovvero il linguaggio di segni per mano singola adottato dai prigionieri politici. Il percorso prosegue poi con l’Archivio dei segni, che lei stessa definisce “ricerca di memoria della materia”. Ciclo di opere in cui, sul modello delle tavole archeologiche, presenta gli oggetti piccolissimi e poverissimi che i detenuti creano con i materiali ritrovati in carcere, come l’ossobuco del rancio, fili sfilati dagli asciugamani, monetine; tasche inutilizzate. Opere che mettono in evidenza come la creatività sia una caratteristica prettamente umana in grado anche di salvare le persone, in condizioni disumane, dalla psicosi, dal delirio, dalla rassegnazione più oscura. L’arte mantiene viva la mente e il pensiero, anche nel suo essere veicolo di un messaggio, di una memoria personale da trasmettere all’esterno con acuti stratagemmi.
Un bagaglio di esperienze e testimonianze che l’artista, con il suo sguardo gentile e sempre umano, trasforma in un’installazione video, in cui gli ex detenuti, come moderni youtuber, diventano protagonisti di tutorial in cui spiegano come realizzare i loro minuscoli tesori.








A The Gallery Apart il colore diventa metafora di libertà
Spicca sulla parete la serie Dentro Fuori realizzata per la mostra romana, dopo la permanenza al MAD, con cui l’artista racconta l’ex carcere delle Murate. Come a voler richiamare, immedesimandosi, le pratiche meticolose degli ex carcerati, la Ferratto si cimenta in un certosino lavoro di incisione, creando dei particolarissimi collage, ottenuti dalla sovrapposizione di due fotografie identiche dell’ex carcere, l’una in bianco e nero, metafora della privazione della libertà all’interno del carcere; l’altra a colori, rappresentazione “del fuori” simbolo di vita e libertà.
La mostra prosegue al piano inferiore, con la serie Affiorare dedicata alla comunicazione diretta, in questo caso tra detenute. Installazioni sonore in ceramica a forma di fiori che trasmettono le testimonianze positive delle detenute nel carcere di Devoto. Voci, tratte dalla raccolta Memorie Buie, che raccontano gli originali espedienti inventati per comunicare.
Chiude simbolicamente il percorso, citando la poesia che lo apre, l’opera Costellazioni, in cui Ferratto riprende un altro poetico escamotage di comunicazione tra prigionieri politici; ovvero quello di bucare le pagine di un libro in corrispondenza delle lettere necessarie per comporre il messaggio. Che, in questo caso, come a voler chiudere un cerchio, riprendono i versi inizialmente citati:
Ho un appuntamento pericoloso?
Sì, che loro non lo vengano a sapere
è con la vita…!
Ludovica Palmieri
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