Di nudi e sdraiati. Giacomo Mercuriali e Federico Tansella in mostra a Venezia
Diverse e affini, le pratiche artistiche di Giacomo Mercuriali e Federico Tansella si incrociano e si “hackerano” nella nuova mostra della galleria Mare Karina a Venezia. Tra ragazzine nude e hikikomori, intelligenza artificiale e videogiochi

Chi in questo inizio primavera si troverà a transitare da Campo de le Gate, nel sestiere veneziano di Castello, difficilmente non si fermerà a sbirciare al di là delle vetrine di Mare Karina. Che si incontri prima il video di Federico Tansella (San Benedetto del Tronto, 2003) – un loop di 24 ore attivo giorno e notte che segue il continuo rigirarsi nel letto di un personaggio di GTA – o le stampe dichiaratamente pornografiche di Giacomo Mercuriali (Cesena, 1990), lo spettatore troverà stuzzicato il suo voyeurismo. Eppure, solo superando le vetrine potrà entrare nel vivo dell’amplesso creativo di questi due artisti, orchestrato dalla curatela di Caterina Avataneo. Ma vale la pena procedere con ordine.

La mostra “States of Stagnation” a Venezia
“Di solito preferisco lavorare con i solo show” mi racconta Marta Barina, fondatrice della galleria approdata a Venezia nel 2024. “In questo caso l’accostamento di Mercuriali e Tansella è cresciuto in modo organico e non potevo tirarmi indietro”. Si comprende bene la scelta, quindi, di affidare la curatela a Caterina Avataneo, che da anni lavora su progetti caratterizzati dall’incontro fra due pratiche artistiche differenti. In States of Stagnation, questo il titolo della mostra, sia Tansella che Mercuriali attingono alle sottoculture del web come a fonti di estetiche e contenuti, restituendo fisicità e tangibilità a ciò che spesso è ritenuto etereo e invisibile.

Le opere di Federico Tansella da Mare Karina
Proprio dagli invisibili parte Federico Tansella, che con le sue opere istituisce un’ipotetica appartenenza politica e sociale transnazionale per tutti coloro che, ad una realtà fondata sull’iperproduttività, rispondono con la passività (hikikomori e NEET in primis). Una restituzione, però, tutt’altro che celebrativa, bensì intimamente tragica: la bandiera che Tansella ha realizzato per gli “sdraiati” (Those who lay down, 2025) non è issata, ma stesa a terra e incapsulata in una teca che progressivamente si riempie di fumo, offuscandola; allo stesso modo, la divisa-cosplay che immagina un corpo militare dei NEET (Pour en finir avec le travail, 2025) è ammassata a terra, dismessa, priva di un corpo, le pistole scariche, le munizioni sparse sul pavimento. Ed è proprio nel contrasto tra elementi normalmente attribuiti a modalità estremamente attive del rivendicare riconoscimento e rappresentanza che le opere di Tansella riescono nell’esasperazione della resistenza passiva come alternativa reale e profondamente attuale. Sotto questa luce assume ancora più significato Vincere / All we ever wanted was everything (2025) il video su ledwall esposto in vetrina (accessibile anche cliccando qui): un’opera che si inserisce nella tradizione della registrazione del sonno – Andy Warhol con Sleep (1963), Eva & Franco Mattes con la performance partecipata Sleep Mode (2024), ma anche i viralissimi sleep stream di cui è pieno Internet – e che si confronta con la performatività profondamente attiva del videogioco, medium di cui Tansella dimostra di conoscere, scardinandola, l’epistemologia.

Hackerarsi a vicenda
La più grande delle opere di Giacomo Mercuriali in mostra è, non a caso, un omaggio a Federico Tansella: Giverny, Babylon (Black Flag for Federico Tansella) è una stampa realizzata con un sistema di intelligenza artificiale generativa che raffigura, appunto, la bandiera nera di Tansella, in una grande cornice in metallo galvanizzato. Un esempio del vicendevole “hacking” dei due artisti, sottolineato da Avataneo nel suo testo curatoriale ed evidente anche negli easter eggs disseminati nel video di Tansella. E se l’hacking altro non è che l’intromissione di una dimensione nell’altra, una confluenza di piani di realtà se vogliamo, è proprio tramite questa ibridazione che l’intera serie Giverny, Babylon produce senso. E lo fa a partire dal titolo, che è tutto un programma: tanto di Giverny quanto di Babilonia sono celebri i giardini (idilliaco sfondo delle stampe di Mercuriali), ma soprattutto le rivoluzioni del linguaggio, storico-artistiche da un lato, bibliche dall’altro. Mercuriali ne prende atto, restituendo questa stratificazione semantica attraverso un processo al contempo trasparente e opaco.

La serie “Giverny, Babylon” di Giacomo Mercuriali a Venezia
La rappresentazione, affidata all’IA istruita per simulare un dipinto impressionista, si muove sul filo della pedopornografia: efebici nudi femminili circondati dalla natura, ninfe(e) ammalianti e grottesche arricchite di arti di troppo, icone digitali e tutti gli altri glitch a cui l’intelligenza artificiale ci ha abituati – e, in un caso, persino escrescenze che ci fanno dubitare del sesso della protagonista. Un impianto iconografico piuttosto distraente, ma anche il primo passo per una importante riflessione sul medium: l’intelligenza artificiale e la sua tanto discussa “creatività”, oggetto della ricerca di Mercuriali da tempi non sospetti, vengono ibridate a un fare artistico dall’aspetto tradizionale. Se a Giverny Monet elaborava una pittura liberata dalla fotografia della sua necessità di indicalità, mentre a Babele Dio moltiplicava le lingue, a Venezia Giacomo Mercuriali conferisce dignità all’utilizzo artistico dell’IA (chiedendosi anche come poter chiamare questa tecnica: digigrafia? Sintografia?) e ne complica i confini con le modalità e i medium della storia dell’arte.






Tra luce e buio: Federico Tansella e Giacomo Mercuriali
In un’epoca di tanta arte buonista (e poca arte buona) è spesso difficile uscire davvero soddisfatti e stimolati da una mostra. Sembriamo essere caduti preda del miraggio che l’arte debba salvare il mondo, o risolverci la vita. Nulla di più sbagliato. Da decenni l’opera d’arte è diventata la didascalia di una battaglia, più che l’espressione della sua complessità chiaroscurale. È laddove accettiamo il buio che possiamo vedere la luce, e le opere di Federico Tansella e Giacomo Mercuriali – per di più insieme, in un felice allestimento che si fa architettura – emergono come esempi di una possibile via d’uscita per l’arte contemporanea dal suo stato di stagnazione.
Alberto Villa
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