Cinque artisti che stanno ridefinendo la pittura contemporanea. La mostra a Venezia
Tra bestiari psichedelici, malinconia e mixed media, la Galleria Tommaso Calabro di Venezia presenta una istantanea della pittura contemporanea italiana attraverso cinque artisti: Michele Bubacco, Alessandro Miotti, Flaminia Veronesi, Emilio Gola e il collettivo CANEMORTO

Il titolo suggerisce un atto di ribellione, una tensione viscerale contro un’idea eterea e intangibile della pittura. Qui, invece, il medium torna a essere materia viva, intrisa di colori intensi e gesti istintivi. La collettiva, ospitata a Palazzo Donà Brusa, riunisce cinque artisti italiani uniti dalla volontà di riportare la pittura figurativa a un livello di urgenza espressiva che sembrava essersi dissolto nel tempo. Un’urgenza che secondo Grulli, non si vedeva con questa forza dagli Anni Ottanta e che si nutre di un immaginario che mescola avanguardie storiche, sottoculture urbane, riferimenti pop e iconografie personali.
Bubacco e Miotti: la pittura come tensione emotiva
Tra gli artisti in mostra, Michele Bubacco (Venezia, 1983) è forse quello che spinge più in là la pittura come atto di stratificazione visiva e psichica, un processo in cui l’immagine non è mai fissa, ma continuamente ridefinita. La sua pratica nasce dalla fotografia, ma l’immagine stampata è solo un innesco: olio, pennarelli indelebili e collage la trasformano in qualcosa di altro, un territorio ibrido tra figurazione e astrazione, in bilico tra dissoluzione e ricomposizione. In The singer (2022), il processo è evidente: la sagoma di un uomo emerge da un gioco di ombre e sovrapposizioni, come un’apparizione sfocata tra realtà e inconscio. In Mon Cheri (2025), il punto di partenza è ancora più effimero — una macchia di ketchup su una superficie — ma Bubacco la trasforma in pittura attraverso un gesto viscerale, che amplifica la tensione tra astrazione e riconoscibilità.
Alessandro Miotti (Marostica, 1991), invece, lavora sulla memoria e sull’identità, esplorando il confine tra presenza e dissoluzione. I suoi ritratti sembrano catturare un attimo sfuggente, un’immagine già in trasformazione in ricordo. Hey cowgirl (Bruno) (2024) è un “falso” ritratto della sua compagna, dove il tratto rapido e acceso richiama l’espressività Fauve, ma con un’energia quasi aggressiva. Ancora più radicale è Fumatori (nella buona e nella cattiva sorte) (2025), in cui i corpi sembrano emergere da una nebbia di segni, dissolvendosi prima di potersi definire completamente.

I mondi fantastici di Flaminia Veronesi: tra sogno e ironia
Flaminia Veronesi (Milano, 1986) costruisce un universo in cui il fantastico non è mai puro gioco, ma un modo per sovvertire il reale. Le sue figure ibride, sospese tra fiaba e incubo, mettono in crisi la percezione dello spettatore. In La Sirena (2022), ciò che sembra una coda si rivela essere una forma tentacolare, più simile a un cefalopode che a una figura mitologica rassicurante. Il suo lavoro è popolato da creature che sfidano ogni classificazione, come in Dragolandia (2025), un mondo abitato da piccoli draghi che sembrano usciti da un bestiario medievale psichedelico, o in Conchiglie(2025), dove le forme marine assumono volti umani, generando un senso di attrazione e repulsione. Se da un lato le sue opere sembrano giocose, dall’altro trasmettono una tensione perturbante, inquietanti e tutt’altro che decorative.
Il realismo malinconico di Emilio Gola
Se Veronesi spinge la figurazione verso il sogno, Emilio Gola (Milano, 1994) la riporta alla realtà quotidiana, ma filtrata attraverso un senso di sospensione e nostalgia. Le sue figure sembrano estratte da un tempo indefinito, immerse in un’atmosfera che ricorda la malinconia del britpop Anni Novanta. In Marco (2024), il carboncino cattura il soggetto con pochi tratto essenziali, lasciando che il non detto si insinui tra le linee. In Tic, tac, tic, tac, tic, tac… (2025), la pittura a olio amplifica questa sensazione di tempo fermo, dove ogni dettaglio suggerisce più di quanto mostri.





CANEMORTO: la pittura come atto di rottura
Il collettivo CANEMORTO rappresenta la componente più sovversiva della mostra, un attacco diretto ai codici pittorici tradizionali. La triade ha sempre rifiutato il concetto di autorialità individuale, lavorando a sei mani in un processo caotico e imprevedibile. Le opere in mostra, come The Other Key of Basilius (2024) e Mercurius or Quicksilver (2024), sono realizzate con una tecnica peculiare: gli artisti intervengono direttamente sulla macchina da stampa, senza una matrice fissa, generando pezzi unici che sfidano il concetto stesso di riproducibilità. Il loro linguaggio visivo è un mix street art, punk e simbolismo esoterico, con colori acidi e segni brutali che sembrano emergere da un universo post-apocalittico.
Un ritorno necessario
Moonkillers non è solo una collettiva sulla pittura figurativa contemporanea: è una dichiarazione d’intenti. Antonio Grulli non si limita a selezionare artisti, ma costruisce un racconto generazionale in cui la pittura si riprende uno spazio che negli ultimi decenni sembrava riservato ad altri linguaggi. Se il ritorno alla figurazione è ormai un fenomeno consolidato, ciò che emerge qui è la sua capacità di farsi portavoce di un’urgenza autentica, capace di oscillare tra introspezione e provocazione.
Asia Miniutti
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