A Firenze prima mostra istituzionale per l’artista Tracey Emin in Italia. Tra sesso e solitudine
Il senso del tragico, la vita, l’esistenza, la bellezza di esserci. Una mostra, che non è una retrospettiva, ma un progetto realizzato da e con Tracey Emin a Firenze documenta 35 anni di carriera, attraversando i temi e i mezzi

35 anni di opere di Tracey Emin (Croydon, 1963) sono in mostra per la prima volta in un’istituzione italiana in un Palazzo Strozzifinalmente acquisito dal Comune di Firenze dopo un accordo con il demanio dello stato. Sulla facciata esterna campeggia al neon il titolo della mostra come uno statement, Sex and solitude (2025), andando ad aprire quella che non è una retrospettiva, ma una esposizione affrontata in maniera non cronologica, bensì tematica. “Le persone nel mondo hanno esperienza sia del sesso che della solitudine, che per me sono intrinsecamente connessi e intrecciati. Anche gli animali fanno sesso, ma quando parlo di questo penso alla concezione umana del sesso, alla procreazione, al piacere. Nella mia vita ho avuto dei periodi di celibato e il sesso era qualcosa che conoscevo, e anche la solitudine. Devo dire che da giovane il sesso mi stimolava di più mentre oggi la solitudine mentale è fondamentale per me, aiuta la creazione”, racconta Emin. Nel cortile centrale un grande bronzo posizionato nottetempo, I followed you to the end (2024), nelle sale opere nuove (due delle quali provenienti dalla personale presso la Galleria White Cube, realizzata nel 2024) e alcune storicizzate che non si vedevano da tempo, a ripercorrere la carriera dell’artista fin dagli Anni Novanta.
Le opere di Tracey Emin
Anni in cui l’artista, reduce dagli studi al Royal College of Art, fonda con Sarah Lucas The Shop nel quartiere di Bethnal Green a Londra, in cui tra le pioniere dell’epoca comincia a lavorare con il tessuto (in mostra le coperte I do not expect e Automatic Orgasm dei primi anni 2000). Sono gli anni in cui Saatchi lancia la serie di mostre Young British Artists e di Sensation (1997), dove Emin presenta una delle sue opere più note Everyone I Have Ever Slept With 1963-1995 (poi andata distrutta) con i 102 nomi delle persone con le quali ha dormito. Mentre è grazie a My Bed che viene selezionata per il Turner Prize. La mostra presso Palazzo Strozzi documenta in maniera importante il lavoro pittorico di Emin, ma ne salvaguarda la poliedricità nei media che attraversano la sua produzione, tra neon, ricami (Always you, 2009) fino ad una plastica possente che reintepreta il concetto di monumento. Quello dell’arte pubblica, spiega Arturo Galansino, direttore di Palazzo Strozzi, “è un tema importante per Emin, a partire dal neon realizzato per il proprio museo a Margate, fino al grande bronzo The Mother per il Museo Munch ad Oslo, mettendo in discussione la retorica maschile della scultura nelle piazze”.









La relazione con l’Italia di Tracey Emin
“Sono stata in Italia molti anni fa alla Biennale (nel 2007, ndr) dove avevo rappresentato il Regno Unito e sono rimasta molto insoddisfatta di ciò che avevo fatto io”, racconta Emin. “Ho pensato che la Biennale per me fosse un trampolino di lancio per qualcosa di più e sono pochi gli artisti che dicono così dopo essere stati a Venezia. Mi ricordo che mentre ero lì e scendevo dalle scale con davanti tutta la stampa, ho visto una vecchia signora che saliva i gradini che mi passava accanto e ho pensato che ero io quella vecchia signora. Oggi mi sento molto più vicina a quella donna, mi sento molto più felice e penso che la Biennale sia stata una proiezione verso questo. Perché penso che non potrei fare di più che esporre a Firenze. Fare una mostra qui è stato come uno shock. Una sorta di estasi”.
Le opere in mostra a Firenze
L’esposizione Sex and Solitude ha avuto una gestazione di quattro anni e una pianificazione mutata nel tempo, giungendo a un progetto che contempla passato, presente e futuro, con l’obiettivo di creare “per Firenze qualcosa di speciale”. Percorrendo le sale emerge tra le opere l’influenza, peraltro spesso dichiarata, di artisti come Egon Schiele ed Edvard Munch e naturalmente di Louise Bourgeois, con la quale negli anni ha anche collaborato.
Il dato biografico emerge prepotente nella sua ricerca: le violenze subite a 13 anni, gli aborti traumatici, l’amore e il sesso presente o negato (I wanted you to fuck me so much. I couldn’t paint anymore, 2020, oppure Not fuckable, 2024), il sacrificio (Those who suffer LOVE 2009), la passione, la solitudine, il recente cancro, la forza della vita e la bellezza di esserci, il senso di solitudine (Thriving on solitude, 2020) che tuttavia dà linfa al lavoro e che riecheggia nel titolo. Tra le opere più importanti in mostra c’è Exorcism of the last painting I ever made (Esorcismo dell’ultimo dipinto che abbia mai fatto), che ricostruisce il display di una performance realizzata dall’artista nel 1996 dipingendo e disegnando nuda per tre settimane e mezzo (la durata del periodo tra un ciclo mestruale e l’altro) sotto lo sguardo del pubblico. Un’opera estremamente importante perché documenta una ritrovata relazione con la pittura per l’artista, dopo una crisi di sei anni conseguente ad un aborto nel 1990.

Il dato autobiografico nell’opera di Emin
La tensione emotiva emerge con forza nella sua pittura ed è evidente nelle opere dell’ultima sala con un chiaroscuro profondo e un gioco di neri, bianchi e grigi e di figure tormentate, cariche di espressione (The end of the day, Like the moon. You rolled across my back, I never felt like this, etc. tutte del 2022) dalle quali echeggia quel senso del tragico, dell’umanità, una sorta di autoconfessione, rievocata nel suo intervento anche da Galansino. “Io sono me stessa e sono estremamente onesta”, racconta Emin, “e non è un gioco è quello che faccio, quello che creo. Le mie opere non vengono fuori come merda, vomito, sperma. È la mia arte, in questo è magica l’arte, è spirituale. Io ne sono canale, passa attraverso me e poi viene fuori. A volte ho un controllo, a volte no ma se non fossi sincera l’arte per me non avrebbe senso, mentre per me ha un valore massimo. È il mio lavoro, è la mia vocazione”.
Santa Nastro
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