Un concerto che si mangia. A Trento c’è una mostra sul legame tra suono e cibo
Dal ristorante stellato ai fornelli di casa, dalla cena con gli amici al mercato. Il MUSE con il progetto “Food Sound. Il suono nascosto del cibo” svela come il suono che accompagna i cibi può cambiare la loro percezione

Crunch crunch, gnam gnam, cin-cin. Ma anche il gorgoglio della moka, il sibilo della pentola a pressione, quelle indimenticabili frasi: “è pronto vieni a tavola!” Oppure “quando si mangia non si parla”. Sono rumori ed espressioni che conosciamo bene, ma che per la prima volta vengono indagati dalla mostra Food Sound. Il suono nascosto del cibo, al MUSE di Trento. “L’idea è nata diversi anni fa, quando mi è capitato di ascoltare il racconto di alcuni bambini che in un’azienda che produce patatine fritte pensavano che il rumore delle friggitrici in realtà fossero degli altri bambini che stavano piangendo. E quindi da lì ho avuto l’intuizione che i suoni potevano avere un ruolo molto importante nel raccontare e creare consapevolezza sul cibo”, spiega Vincenzo Guarneri, ideatore della mostra.
Le ricerche sul legame tra suoni e cibo al MUSE di Trento
Studi e ricerche scientifiche hanno dimostrato che l’udito, organo che normalmente non si considera quando si pensa alla relazione con il cibo, in realtà ha un ruolo fondamentale. Può riaccendere ricordi lontani, piacevoli o spiacevoli, toccare corde profonde. Le urla alle bancarelle del mercato possono invogliare o no l’acquisto al mercato, mentre un sottofondo sonoro può rendere più piacevole una cena al ristorante. Non a caso è proprio la musica una delle ultime frontiere delle aziende per indirizzare le scelte di marketing e la presentazione del cibo.
Charles Spence, professore di psicologia sperimentale all’Università di Oxford considerato un pioniere della “neurogastronomia”, che ha inaugurato la mostra di Trento con una lectio magistralis, sostiene che la musica sia in grado di ingannare il cervello facendogli percepire un sapore più dolce, più salato o più amaro di quello reale.




I suoni e le papille gustative, ecco perché ci vuole orecchio
Il suono giusto, per esempio, può aumentare il piacere di bere un calice di vino del 15 per cento. L’orecchio è in grado inconsciamente di influenzare le papille gustative rispetto a ciò che sta ascoltando, dato che l’uomo tende ad abbinare gli stessi suoni agli stessi gusti. Gli acuti? Esaltano l’acidità, i suoni più arrotondati la dolcezza, i toni profondi l’amaro. “Qualche anno fa, con il collega Charles Spence – spiega Massimiliano Zampini che ha partecipato alla mostra come responsabile del comitato scientifico – abbiamo dimostrato che l’amplificazione del suono emesso dalle bollicine dell’acqua gassata ne incrementava la percezione di effervescenza. Allo stesso modo, con colleghi della Fondazione Edmund Mach, abbiamo dimostrato che cambiando il suono della masticazione di una mela si poteva alterare la percezione della sua qualità. Una maggiore consapevolezza di quelle che sono le informazioni uditive quando si mangia, ma, in generale, una maggiore consapevolezza di quelli che sono i segnali percettivi che raggiungono i nostri sensi può aiutarci ad avere un’esperienza più piena di quello che è il nostro rapporto con il cibo. Dopodiché possiamo sfruttare, per esempio, degli input sonori per cercare di realizzare cibi più salutari. Perché non utilizzare il suono per ridurre la quantità di sale e zucchero nei cibi? Questa è un’idea sulla quale stiamo lavorando”.
Mangia e ascolta i suoni al MUSE di Trento
Bisogna quindi metterci l’orecchio. Cosa che nella mostra Food Sound si fa concretamente, indossando cuffie supraGuide SPHERIC, che aggiungono alle classiche caratteristiche di un’audioguida il riconoscimento della posizione del visitatore, l’attivazione automatica dei contenuti e la spazializzazione dei suoni, così da permettere un’esperienza molto realistica nelle diverse sale tematiche. Un percorso tra ambienti ricostruiti, tridimensionali, in cui si ascoltano suoni fisici e reali, ma anche sussurrati, immaginati, percepiti. Oltre alla mostra sono organizzati laboratori sensoriali, performance tra gusto e ritmo, come quelle di Food Ensemble, che propongono “il cibo come non l’hai mai ascoltato”, di Donpasta, dj, economista, appassionato di gastronomia, considerato dal New York Times, uno dei più inventivi attivisti del cibo, e di Vegetable orchestra, un ensemble viennese che costruisce i propri strumenti con i vegetali. Carote, porri, radici di sedano, carciofi, zucche essiccate, bucce di cipolle, sono utilizzate per assemblare strumenti organici che durano solo per il tempo di un concerto.
Luisa Taliento
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