Un pomeriggio con Alighiero Boetti. Il ricordo del curatore Ludovico Pratesi
Davanti ad una foto nel volume dedicato ad Alighiero Boetti, il curatore romano vive un déjà-vu e ricorda l’artista che, facendo del gioco la chiave per capire il mondo, divenne un demiurgo capace di trasformare la propria vita in un’opera d’arte

C’è una fotografia, nel prezioso volume di Giorgio Colombo Vita di Alighiero Boetti, edito da Forma per Tornabuoni Arte, che mi ha fatto ricordare il mio studio visit da Alighiero, nel grande appartamento in Via del Pantheon 57 a Roma. È un’immagine datata 23/01/1993, si intitola Alighiero Boetti mentre realizza Il Ventitreesimo giorno del primo mese del novantatre (Bugs Bunny) e mostra l’artista sul suo tavolo da lavoro, cosparso di carte di ogni genere. Avevo lavorato con Alighiero, che aveva partecipato con l’arazzo Tutto (1991), presentato da Laura Cherubini, alla collettiva Molteplici Culture al Museo del Folklore l’anno precedente. L’artista era una presenza imprescindibile nel mondo dell’arte romano di allora, insieme a Jannis Kounellis, Gino De Dominicis, Enzo Cucchi, Carla Accardi, Luigi Ontani. Eppure non potevo dire di conoscerlo, a differenza di altri amici curatori come Laura Cherubini e Giacinto di Pietrantonio.
Alighiero Boetti un artista demiurgo
Quella visita fu una rivelazione, l’ingresso in un universo di lettere, numeri, arazzi, mappe, calembours. Perché Boetti era un demiurgo, uno di quegli artisti capaci di trasformare la propria vita in un’opera d’arte, un territorio di immaginazione senza confini. Con una particolarità: l’attitudine ironica e giocosa tipica di Alighiero, che aveva fatto del gioco la chiave per capire il mondo, come racconta in maniera straordinaria Agata Boetti nel meraviglioso libro Il gioco dell’arte con mio padre, Alighiero (Electa, 2024). Un’ottima e utilissima introduzione alla visita della mostra Alighiero Boetti. Cabinet de curiosités, aperta alla galleria Tornabuoni a Roma fino al 22 febbraio. In galleria è esposta l’opera Il Muro, quasi una summa del Boetti-pensiero, insieme ad una selezione degli scatti di Colombo raccolti nel suo libro.
La galleria Tornabuoni ricrea a Roma l’atmosfera dello studio di Boetti
Ma torniamo alla visita da Alighiero, che allora era affascinato da due macchine, diverse ma complementari: la fotocopiatrice e il fax. Adorava farsi il ritratto con il proprio volto fotocopiato: diceva ad Agata “La fotocopiatrice vede ma non sente”. Entrambi avevamo la passione per il fax: pochi anni dopo avrei fondato Artel, la prima rivista d’arte via fax, mentre quel giorno felice Boetti era letteralmente sommerso da fax e fotocopie. Il tavolo da lavoro era ricoperto da centinaia di fogli, e così le pareti, come una sorta di galleria di immagini su carta, da segni astratti a volti di persone. Una passione onnivora e bulimica di un uomo che aveva lo sguardo rivolto sempre in avanti: aveva già previsto, a suo modo, l’avvento dell’era digitale, che sarebbe arrivata di lì a pochi mesi. Alighiero si muoveva con l’agilità di un felino tra quei mucchi di carte, come se stesse già immaginando una specie di pinacoteca effimera, composta di fax e fotocopie: il suo sguardo sorridente e visionario era già nel futuro. Poco tempo dopo ci avrebbe salutato per sempre, e oggi rivedere l’atmosfera dello studio di via del Pantheon ricostruita, con un grande atto di coraggio, nelle sale della galleria Tornabuoni mi ha fatto ripensare a quel magico giorno di trent’anni fa, quando capii per la prima volta il magico sguardo di Alighiero e Boetti. Ci mancate entrambi moltissimo.
Ludovico Pratesi
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