“Fare arte? Significa sognare insieme”. Tutto Tomás Saraceno in un’intervista
Antispecismo e collaborazione con gli animali sono al centro della pratica di Tomás Saraceno, fra i più apprezzati artisti contemporanei al mondo. Lo abbiamo incontrato nel suo studio per esplorare a fondo le sue opere e i suoi processi creativi

È in corso a Genova, alla galleria Pinksummer, la mostra Anima∞le di Tomás Saraceno (San Miguel De Tucmán, 1973), una forma di Cloud City – così si chiamano le spettacolari installazioni abitabili e percorribili dell’artista argentino che danno forma scultorea all’indagine aerea di spazi ed ecosistemi – pensata per aprirsi e ospitare non solo umani: ragni, insetti, uccelli, cani e gatti.
Per entrare in questa utopia abbiamo incontrato Saraceno nel suo studio a Berlino, cercando di ricostruire con lui il sistema di connessioni e riferimenti che danno vita a un immaginario tanto radicato nella storia dell’arte quanto immerso e impegnato in un attivismo sempre più necessario.
Intervista a Tomás Saraceno
Ti chiederei di raccontarci come è nata la mostra Anima∞le.
Mi piace lavorare sull’idea di continuità, lavorare su ricerche in corso e progetti già esistenti, ripartire da legami tra persone, così come tra diverse specie. Ma anche sull’idea di adattamento, in questo caso rispetto alle specie animali che vivono in uno specifico ambiente.
Il diretto antecedente di Anima∞le è Web(s) of Life, la mostra del 2023 alla Serpentine Gallery. Come cambia un progetto adattandosi a spazi così differenti?
Alla Serpentine Gallery abbiamo lavorato tantissimo per coinvolgere The Royal Parks: facevamo riunioni con almeno dieci persone ogni volta per discutere delle abitudini degli animali, di cosa fosse meglio per loro… Cose lunghe e anche molto divertenti! Ho imparato tanto da questi processi.
Quando ho iniziato a lavorare per la mostra da Pinksummer ho pensato subito al contesto che ospita la galleria, non più un parco ma il Palazzo Ducale di Genova. Per fortuna ho ritrovato come direttrice Ilaria Bonacossa, che nel 2014 aveva curato insieme a Luca Cerizza la mia mostra Cosmic Jive a Villa Croce, sempre a Genova. Così è stato più facile aumentare la diversità di partecipanti, anche dal regno animale, alla mostra.
E gli animali che ruolo hanno avuto?
Una delle cose divertenti è che tutti mi chiedono sempre cosa c’è di nuovo in una mostra come questa. I progetti espositivi sono sempre pensati e organizzati rispetto a tempistiche “umane”, qui invece sono stati spesso i tempi animali quelli che abbiamo dovuto seguire. Sia alla Serpentine che a Genova: se tu installi casette per uccelli, devi prevedere poi che questo possa fare il nido, e a Londra ad esempio i conservatori del parco ci mettevano in crisi. Se una cinciarella depone le uova e nel frattempo la mostra finisce e subentra un altro artista, cosa si fa? Abbiamo coordinato tutti i calendari tenendo conto di questi aspetti, assolutamente imprescindibili, dalle migrazioni – che per fortuna evitano barriere socio-politiche quali la Brexit – ai tempi di nidificazione. Abbiamo cercato poi di pensare anche a quali specie fossero più in pericolo, di ricostruire habitat che permettessero di mantenere le diversità. Da Pinksummer in particolare abbiamo stabilito che se un collezionista vorrà comprare un lavoro, dovrà rispettare il certificato di autenticità, che contiene una clausola nella quale si esige che il lavoro sia di proprietà anche dell’animale che lo abita. Se lo compri accetti di non esserne solo il possessore, di rispettare i tempi e le esigenze animali, di condividere un lavoro d’arte seguendo le volontà di un “partner”.
È una cosa relativamente nuova nel tuo lavoro.
Ricordo tanti anni fa, nel 2012, al Metropolitan Museum of Art di New York, avevo installato sul tetto Cloud City. Un giorno mi chiamarono dicendomi che era successa una cosa stranissima, un falco durante i giorni di chiusura aveva nidificato in una delle strutture modulari. Decidemmo di cambiare il percorso e la fruibilità di questi spazi, per non disturbarlo. È un modo per ragionare su come rispondono le situazioni al tuo lavoro.









Le prospettive più-che-umane nelle opere di Tomás Saraceno
Normalmente il pubblico di una mostra non prevede consapevolmente specie animali. Questo progetto si fonda invece sugli spazi e i comportamenti di cani, gatti, ragni, insetti e uccelli.
Principalmente mi sono reso conto, collaborando con i ragni e le loro ragnatele, che ovunque andassimo a installare le opere trovavamo ragni che già vivevano in quell’habitat: nei musei, nelle gallerie, nelle case, nei parchi, nelle città… È come se rendendomene conto cercassi di stimolare sempre di più la realtà, per capire se gli spazi fossero pronti a una convivenza che preveda una diversità maggiore. Parlarne con lo scienziato e saggista Stefano Mancuso è stato sicuramente un grande stimolo, e portando avanti la ricerca noto sempre maggiori dettagli nell’ambiente che mi circonda. Ad esempio come in numerose città oggi quando si costruisce un nuovo edificio ci sono obblighi di realizzare parti dello stesso edificio in modo che aiutino il formarsi spontaneo di colonie di api o vespe, o di nidi di uccelli. Qui nel mio studio a Berlino stiamo ristrutturando una parte dell’edificio e il comune di Berlino è venuto nel cantiere per collocare casette per gli uccelli! Esistono poi i bee bricks, mattoni bucati appositamente per favorire la costruzione di alveari, e abbiamo utilizzato anche questi.
I tuoi progetti in fondo riflettono spesso su modelli di società e queste sono evoluzioni quasi naturali. Posso chiederti come hai lavorato per costruire un ambiente installativo a partire da questi presupposti?
Normalmente quando arrivo in uno spazio espositivo chiedo di cercare di non pitturare tutte le pareti, per evitare di allontanare ragni e altri organismi. Alla galleria Pinksummer le pareti erano perfettamente bianche, ma volevo anche il pavimento bianco, usando pitture naturali, per trasformare lo spazio in modo che le figure quasi galleggiassero. In questo modo si sono persi i punti di riferimento, il sopra e il sotto, così come le dimensioni: cercare di neutralizzare l’architettura – che ha una scala basata sulle proporzioni umane – voglio invitare a far riflettere sull’esistenza di altre scale di grandezza. Quella dei gatti ad esempio.
Ci sono tante possibili prospettive per guardare a questo progetto.
È ovvio che guardandolo dalla prospettiva della storia dell’arte possa essere concepito più come un white cube… Avendo io studiato architettura, viene quasi spontaneo pensare a Le Corbusier e il suo Modulor, ma esistono tante scale diverse. Basta pensare a certe architetture vernacolari. Sarebbe divertente, riflettendo anche come vedono il mondo le diverse specie animali, chiedersi come percepiscono questa mostra i visitatori come i cani, i gatti e i ragni…
Su una parete di Pinksummer ci sono lavori che prevedono anche l’olfatto.
Malevich per cani! È una speculazione, sono dipinti che in realtà non sono dipinti, tele quadrate che attirano i cani con il loro profumo, invitandoli a leccarle. È interessante sempre nel contesto della storia dell’arte pensare a come espandere questi limiti percettivi.

Tomás Saraceno, tra arte e attivismo
Lavori con Pinksummer da tanti anni. Che supporto danno le gallerie nello sviluppo di una pratica complessa come la tua?
C’è una cosa divertente rispetto a questo e riguarda un caro amico, Alberto Pesavento, già studioso di filosofia con Giorgio Agamben. Con lui a Milano ci incontrammo in conversazione nel 2007 invitati all’Isola Art Center di Bert Theis, alla Stecca a Milano, e da lì è cominciata una vicenda lunga, che ci ha portato a costruire con i sacchetti di plastica una grande scultura volante, Museo Aero Solar. Ora lui si dedica all’apicoltura: è bravissimo, pluripremiato, lavora sul piano teorico e traduce libri, ma soprattutto non a grande scala, con attenzione al benessere, e questo economicamente è difficile. Dopo tanti che pensavo su cosa avremmo potuto fare assieme, per questa mostra a Genova abbiamo realizzato Out-of-cell time, una serie di favi di miele naturali costruiti dalle api mellifere all’interno di un coprifavo posizionato al contrario sopra il nido dall’apicoltore, poi incorniciati ed esposti: il 100% dei ricavi dalla vendita del lavoro andranno ad Alberto, e già il giorno dell’inaugurazione c’erano tanti collezionisti interessati!
Puoi parlarci della fondazione Aerocene e delle sue attività? E che ruolo ritieni possa avere questa comunità rispetto al sistema dell’arte e alla tua ricerca artistica?
Come movimento per la giustizia eco-sociale, alla deriva nell’aria, che fluttua libera da combustibili fossili, litio o idrogeno, Aerocene ci spinge verso una nuova alleanza etica con la Terra e le sue reti cosmiche di vita. Radicata in un attivismo più lento e in un’interdipendenza dipendente dal clima, Aerocene si erge come una piattaforma per la giustizia climatica, una transizione energetica eco-sociale, diritti umani e più che umani e modalità alternative di conoscenza e percezione.
Dal 2007, Aerocene è cresciuta parallelamente al Museo Aero Solar, ed è stata formalmente istituita come fondazione nel 2015. Durante questo viaggio, Aerocene è stata attivata attraverso workshop, festival e mostre internazionali; attraverso la creazione di strumenti open source e basati sul concetto del “Do-it-Together”; nei test e nel volo di sculture aerosolari e nella loro mobilitazione all’interno di performance e proteste; da una comunità interdisciplinare, attiva in centinaia di città in sei continenti.
Come fondazione, è anche solidale con le comunità indigene di Salinas Grandes e Laguna de Guayatayoc, lavorando con loro contro l’estrazione di litio che consuma acqua nelle loro terre ancestrali a Jujuy, nel nord dell’Argentina. Un accordo con le mie gallerie significa anche che qualsiasi profitto derivante dalle opere d’arte di Aerocene collegate a queste comunità viene diviso in tre: lo studio, le gallerie e le comunità di Salinas Grandes e Laguna Guayatayoc, tramite una ONG locale basata in Argentina chiamata FARN. Siamo in un momento storico in cui l’accumulo di denaro e risorse sembra non avere limiti, e questo distrugge il pianeta. Poco tempo fa in un’intervista al New York Times ho dichiarato che il presidente Trump è la persona più povera al mondo: credo sia necessario dire che questa tipologia di ricchezza, a una simile scala, è assolutamente falsa e non necessaria. È una cosa miserabile, sono persone che sono povere di affetti, di pensieri, di tutto…
Quali sono i tuoi modelli attualmente? Penso sia al mondo dell’arte sia più in generale a studi di ambito scientifico, filosofico e sociale.
Mi sono avvicinato molto a queste comunità che vivono a Jujuy, in Argentina, che hanno pratiche di vita millenarie, molto diverse da quelle delle comunità che vivono dentro il Capitalocene, per usare una definizione di Jason W. Moore. Hanno poi una coerenza nel discorso, nella loro filosofia, nelle loro tattiche e nella loro cosmovisione che è davvero affascinante: sono cose che poi mettono in pratica nella vita quotidiana, e ogni azione sembra collegata e conseguente. Penso anche a movimenti come quello attualmente attivo nel mondo legale per dare diritti a fiumi, montagne ed altri elementi naturali: in fondo si appropriano sempre di pratiche millenarie che sono sempre esistite. In queste culture è naturale considerare le montagne ad esempio come esseri viventi, così come dare un nome a loro o a ogni animale, non solo a quelli domestici. E non voglio solo glorificare culture indigene, elementi di pensiero simili li trovo anche nelle mie conversazioni con Alberto Pesavento! Apprezzo moltissimo persone che hanno preso nella vita decisioni, anche radicali, che li hanno portati ad essere davvero onesti nella loro pratica.

I progetti futuri di Tomás Saraceno
Vorrei tornare ora sull’idea di continuità all’interno della tua pratica. Penso al modello, mutevole, della Cloud City, o alla costante presenza dei ragni.
Attualmente sto lavorando a una pubblicazione con Filipa Ramos e in una delle conversazioni che stiamo inserendo nel libro ho trovato un passaggio in cui mi sono molto identificato: parlava della possibilità di essere cosciente rispetto a quello che uno fa. Credo che il mio lavoro, sia nella forma che nel pensiero, abbia come delle “guide” ma mantenga sempre al suo interno anche delle utopie, apparentemente disconnesse e lontane, che forse sono parte di un lato più inconscio.
Un po’ come il sogno che ho di volare. È importante cosa domandi, e a chi lo domandi, poi come la tua testa ragiona intuitivamente in un determinato momento ti porta in verso le cose a cui tieni veramente, e a cui ritorni spesso.
Ci sono delle scintille che attivano questi processi?
È possibile, ma per me sono soprattutto le conversazioni, le relazioni che danno il via a qualcosa.
Non sto troppo da solo, non amo l’idea dell’artista individualista che ha l’illuminazione chiuso nel suo studio. Mi piace l’idea di sognare insieme.
Come progetti oggi? Qual è la tua giornata in studio?
Oggi il mio studio è molto più piccolo rispetto a qualche anno fa. Lo vedo più come una cosa sparsa, come una ragnatela, un sistema tentacolare. Ad esempio a breve per la comunità di Arachnophilia avremo una conversazione tra la ricercatrice Ally Bisshop, l’entomologo Roland Mühlethaler, David Zeitlyn dell’Università di Oxford – che ha lavorato per più di trent’anni sulla divinazione in Camerun attraverso i ragni –, Vinciane Despret, filosofa che ha scritto il bellissimo libro What Would Animals Say If We Asked the Right Questions?, Peter Jäger, direttore del dipartimento di aracnologia del Senckenberg Research Institute and Natural History Museum a Francoforte, e tanti altri si incontreranno per discutere le attività future.
C’è un progetto che non hai realizzato particolarmente importante per te?
Per tanto tempo un progetto non realizzato era avere un figlio o una figlia, ma da qualche mese non è più così! Ora voglio continuare a calibrare sensibilità, interessi, passioni, amori, equilibrare cose e persone, umani e non umani, e cercare il momento in cui grazie a questi incontri succede qualcosa di magico. È capitato in passato, a Jujuy come con i ragni, e da lì sono scaturite cose che oggi continuano a essere presenti. Voglio tenere vivo il desiderio per questi momenti di incontro.
Marco Scotti
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