L’arte nell’era della post-verità: un’indagine interdisciplinare tra estetica, politica e realtà
In un mondo in cui la verità cede il passo post-verità, il rapporto tra arte e realtà diventa quantomai importante, dal momento che l’arte racconta il mondo attraverso linguaggi visivi e concettuali che sfidano conformismo e omologazione

Il legame tra arte e realtà è sempre stato profondo e indissolubile. L’eterna necessità da parte dell’essere umano di mettersi in relazione con l’aspetto creativo – infatti – non può essere ridotta a semplice volontà di espressione estetica, ma deve essere collegata al mondo circostante. L’arte era è e sarà innanzitutto uno strumento per rendere visibile e comprensibile la realtà. Un gesto attraverso cui il vuoto dell’esistenza viene colmato da uno strappo che contiene in un lampo tutta la verità che ci circonda. Questo compito cruciale è però oggi spinto, come mai prima d’ora, verso condizioni precarie. Nel 2016 gli Oxford Dictionaries hanno eletto “post-verità” come parola dell’anno, definendola “relativa o denotante circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel plasmare l’opinione pubblica rispetto agli appelli all’emozione e alla credenza personale”. Oggi ciò che è vero non è automaticamente prioritario o rilevante, perché può sempre e in qualsiasi modo essere ostacolato, diluito o addirittura oscurato da una miriade di altre narrative contrastanti.
Bolle informative e la crisi della realtà condivisa
L’epoca delle bolle, direbbe qualcuno, entro cui costruire convinzioni monolitiche e tendenziose, protette da sovra-strutture sempre più difficili da tracciare e smentire. Nel film Don’t Look Up (2021), diretto da Adam McKay, vengono mostrate le conseguenze catastrofiche di disinformazione, negazione dei fatti e manipolazione delle opinioni pubbliche. La trama ruota attorno alla scoperta di una cometa destinata a impattare la Terra. Tuttavia, anziché affrontare il problema razionalmente, gran parte della politica, dei media e del pubblico nega o minimizza l’evidenza scientifica per convenienza. I talk show e i media trattano l’evento con superficialità, riducendolo a un intrattenimento vuoto e distorcendo i fatti in semplici opinioni. Il titolo del film, Don’t Look Up, diventa lo slogan di una fazione politica che nega la realtà, nonostante la cometa sia visibile nel cielo. Scenario rispecchia in maniera piuttosto fedele ciò che sta accadendo nel nostro mondo.
Piattaforme come Facebook, X, Instagram o TikTok utilizzano algoritmi per selezionare su misura i contenuti da mostrare agli utenti avendo come obiettivo principale quello di massimizzare l’engagement, ovvero il tempo che trascorriamo tutti noi sulla piattaforma e le conseguenti interazioni (i like, i commenti, le condivisioni). Viene da sé che i contenuti più virali spesso e volentieri sono anche i più “scandalosi”, vale a dire sensazionalistici, quindi quelli che riassumono e attirano verso di loro le emozioni umane più intense come stupore, paura o rabbia. Le piattaforme digitali, attraverso bolle di filtraggio, creano un ecosistema in cui la verità diventa meno rilevante della capacità di attrarre attenzione, mostrandoci solo ciò che vogliamo vedere, confermando le nostre convinzioni preesistenti. Così, si formano realtà parallele in cui le persone vedono solo informazioni che convalidano le loro idee, anche se false. In questo contesto, l’arte rischia di perdere la sua funzione critica, riducendosi a riflettere l’ambiente sociale senza opporvisi. L’anestetizzazione mediale ha portato la creazione artistica, storicamente volta a comprendere i mutamenti antropologici derivanti dalla tecnologia, a rinunciare a questa funzione, preferendo rispecchiare la realtà in un circolo di perpetuata identità; come scrive Alessandro Alfieri nell’articolo: La riflessione di McLuhan, tra antropologia dei media e teoria dell’arte, su Lo Sguardo – Rivista di Filosofia, n. 4, 2010 (III).

L’arte come resistenza: il ruolo dell’interdisciplinarità
In un contesto come questo, il terreno su cui si muove l’arte rischia di ridursi notevolmente. Una cultura basata sulla tecnologia, le cui priorità sono principalmente stimolazioni visive e interattività, rischia di far perdere all’arte la sua funzione critica, riducendola a un semplice riflesso della realtà sociale che la circonda senza opporsi ad essa. L’anestetizzazione mediatica ha, infatti, spinto l’arte a rinunciare alla sua storica funzione di comprensione critica del cambiamento antropologico e tecnologico, preferendo rispecchiare la realtà piuttosto che sfidarla.
Eppure, la potenzialità dell’arte non è mai venuta meno. L’arte è chiamata a trasformare concetti complessi in esperienze visive e sensoriali che permettano al pubblico di vedere, sentire e comprendere verità difficili da afferrare. Per farlo, oggi l’arte si serve di un approccio interdisciplinare che favorisce il dialogo tra diverse discipline, come la scienza, il giornalismo investigativo, la giurisprudenza e l’architettura. In un mondo sempre più interconnesso e ambiguo, l’arte non può più permettersi di rimanere ancorata a metodi specialistici e riduzionisti.
Un esempio emblematico di come l’arte si stia evolvendo verso un approccio interdisciplinare è rappresentato dal concetto di “Investigative Aesthetics”, descritto da Matthew Fuller ed Eyal Weizman nel loro libro Investigative Aesthetics: Conflicts and Commons in the Politics of Truth (2021). Qui, l’estetica non è più solo una questione di percezione sensoriale, ma diventa uno strumento di indagine che analizza come gli oggetti e i luoghi possano rivelare verità nascoste.
Eyal Weizman è anche il fondatore di Forensic Architecture, un’agenzia di ricerca che sviluppa metodi per investigare violenze di Stato e aziendali. Grazie all’uso di geolocalizzazione, modelli 3D navigabili e ricerche open-source, Forensic Architecture riesce a produrre nuove forme di prova visiva e documentaria, utilizzando l’arte come mezzo per svelare la verità.

Lawrence Abu Hamdan: quando il suono denuncia la violenza
Un altro esempio di approccio interdisciplinare è l’opera di Lawrence Abu Hamdan, che analizza gli effetti politici dell’ascolto, utilizzando il suono per registrare e testimoniare le esperienze delle persone colpite dalla violenza aziendale, statale e ambientale. I suoi lavori, che spaziano tra mostre, pubblicazioni, conferenze e relazioni forensi, sono stati usati come prove presso il Tribunale per l’asilo e l’immigrazione del Regno Unito e in campagne di sensibilizzazione per organizzazioni come Amnesty International e Defence for Children International. L’artista libanese fonde arte, scienza forense, giornalismo investigativo e giurisprudenza, utilizzando metodi scientifici come l’analisi acustica e la fonetica forense per indagare violazioni dei diritti umani. Un esempio emblematico è la sua mostra Air Conditioning (2022), che indaga la violazione dello spazio aereo libanese da parte di aerei militari israeliani dal 2007 al 2021, catturando la violenza atmosferica e il trauma che ne deriva. Quello che sembra un paesaggio evocativo si rivela ricco di significati, invitando lo spettatore a una riflessione profonda.
Teresa Margolles: la memoria della violenza attraverso la materia
Un’altra figura chiave nell’arte contemporanea è Teresa Margolles, artista visiva messicana che denuncia le conseguenze socio-culturali della violenza, in particolare quella legata al narcotraffico, sulle comunità e le famiglie delle vittime. Il suo lavoro si colloca all’intersezione di arte, criminologia, antropologia e politica. Utilizza materiali provenienti da scene del crimine e obitori, con un approccio documentaristico, ma intriso di una dimensione concettuale e poetica. La sua arte è anche un’indagine sociale sulla violenza e coinvolge temi di sociologia e diritti umani.
I suoi lavori affrontano la presenza di sangue e morte dentro e fuori i confini del Messico, esplorando le cause sociali della morte attraverso il suo background in medicina forense. Temi come la negligenza governativa e la criminalizzazione delle droghe sono centrali nella sua poetica. Tra le sue opere più significative c’è Tela Venezuelana (2019), dove un grande telo bianco imprime la sagoma di un ragazzo ucciso al confine tra Venezuela e Colombia. Il colore marrone del telo deriva dal sangue essiccato della vittima, e l’opera testimonia una violenza sia specifica che generale.
Conclusioni: l’arte come radar della realtà
L’arte contemporanea, attraverso il suo approccio interdisciplinare, non si limita più a rappresentare la realtà, ma la indaga, la denuncia e la svela. L’artista oggi è come un radar che intercetta e rende visibili fenomeni e ingiustizie altrimenti invisibili. Come sostiene Nicolas Bourriaud nel suo libro Il Radicante, l’artista contemporaneo è una pianta che crea le sue radici man mano che avanza, in un mondo che cambia costantemente. In un’epoca in cui la verità è frammentata e la realtà viene travisata da narrazioni contrastanti, l’arte conserva il suo ruolo fondamentale di svelare ciò che è nascosto, di raccontare il mondo attraverso linguaggi visivi e concettuali che sfidano il conformismo e l’omologazione.
Dario Bombelli
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