Il trauma, la pietra, la tessitura, una relazione possibile nella mostra di Caterina Roppo a Milano
A Milano la mostra Everybody has pain somewhere invita lo spettatore a riflettere sul trauma. L’artista, traducendo in tessuto le cicatrici della pietra, simboli ancestrali di resilienza, esplora i temi del dolore e della memoria

A Milano la visual artist Caterina Roppo trasforma con un’installazione tessile lo showroom di Fischbacher 1819 in un’opera immersiva. A cavallo tra Art Week e Design Week l’artista, con la mostra Everybody has pain somewhere, riflette sul trauma, ricercandone le modalità di trasmissione e le opportunità di prevenzione. Contestualmente, lo spazio milanese noto per il design, presenta anche il secondo capitolo della collezione Ancient Memories, capsule nata dalla collaborazione tra Marcel Wanders e l’artista e prodotta da Fischbacher 1819 che da sempre promuove il dialogo tra arte e design, portando avanti una tradizione di mecenatismo e amore per l’arte.
A Milano le opere di Caterina Roppo diventano simbolo di resilienza
In Everybody has pain somewhere il dialogo attivo tra artista e visitatore è supportato da opere che traggono ispirazione dalle cicatrici della pietra, simboli ancestrali di resilienza. “Non si eredita solo il sangue ma anche la fatica e la ferita. Ereditiamo il peso delle lacrime e la leggerezza dei sogni. Tra questi due estremi si apre lo spazio per una nuova creazione, dove una decisione può essere la chiave che interrompe il ciclo dell’eterno ritorno”, spiega Caterina Roppo. “Ho avuto un’incidente in cui stavo perdendo la vita e ho switchato completamente, anche dal punto di vista spirituale. È una cosa che ritrovo in molte persone che hanno vissuto esperienze traumatiche. Adesso sono concentrata sulla trasmissione genetica del trauma, come passa a livello generazionale e le possibili forme di prevenzione. La prima parte dei lavori l’ho documentata con la mia terapeuta. Sentivo l’esigenza di aprire delle conversazioni, al di là dell’opera fisica, ma c’era un tabù, che percepivo quando dicevo di star vivendo un’esperienza come PTSD (stress post-traumatico). Non mi sento a mio agio, ho l’ansia”.

Caterina Roppo, come nel mito “trama” per interrompere il ciclo della violenza
L’artista trasforma le tracce sulla pietra in tessuto, dando forma a un linguaggio visivo e tattile che esplora il dolore e la memoria. Le cicatrici, scolpite nella pietra e tradotte in fibre tessili, assumono un duplice significato: testimonianza di un trauma e strumento terapeutico per interrompere il ciclo generazionale della violenza. Come scrive Domitilla Dardi, autrice del testo critico a corredo della mostra: “Siamo tessuti. In questo stesso momento milioni delle nostre cellule stanno tessendo per noi il nostro corpo, senza alcun controllo volontario, senza consapevolezza. Eppure, senza questa tessitura continua, non esisteremmo. Caterina Roppo fa parte di quegli esseri umani che i tessuti hanno scelto di farli anche coscientemente, creandoli in maniera progettuale e realizzandoli con consapevolezza. Esistono molti artisti che usano il medium tessile, ma pochi lo creano fisicamente. I più intervengono sul tessuto, lacerandolo e suturandolo; oppure ricamandolo, cucendolo, assemblando pezze, scampoli, brandelli. Pochissimi fanno del tessuto la propria pratica mentale e fisica. Eppure, la tela è la base da secoli, il punto di partenza. Non bisogna scomodare il mito – Penelope, Aracne, le Moire – per trovare chi fa della tessitura la propria storia. Guarda caso quasi sempre donne, donne che tramano: un verbo che ha un’accezione non solo positiva, perché indica un fare progettuale, strategico, a volte un fine salvifico, che da altri è stato raccontato come manipolatorio”.
Domitilla Dardi riflette sulla mostra allo showroom Fischbacher 1819
La mostra vuole affrontare il tema della violenza in chiave terapeutica, analizzando il trauma intergenerazionale, definito “epilettico” per la sua natura ciclica e disturbante. “Ma penso anche ai soldati”, spiega ancora Domitilla Dardi. “Sì, ai soldati che dopo le guerre, nel pieno del loro stato post traumatico e senza soldi, imparavano a ricamare e tessere, realizzando manufatti che davano loro da vivere e che li restituivano alla vita, perché trama e ordito riparano le ferite interiori. Una storia ancora troppo poco raccontata, perché poco eroica e virile, ma così umana e sensata, come se il potere guaritore fosse poca cosa. Caterina, invece, sa. Sa che il trauma porta in un mondo diverso, dove la trama diviene l’unico linguaggio possibile, laddove la parola non funziona perché troppo legata al prima; una dimensione dove le mani guidano la mente e bisogna credere loro e, soprattutto, affidarsi a loro; uno spazio dove la casa d’origine è persa, ne sono rimaste rovine interiori, e prendendosene cura si può ricostruire, rimettere insieme i pezzi, costruire un nuovo disegno con ciò che resta e osservarne i vuoti, con amore e pietas”. È nella ripetizione che risiede il seme della trasformazione: la sofferenza, diventa materia di rinascita.

Il suono di Lorenzo Brusci nella mostra di Caterina Roppo
L’installazione sonora di Lorenzo Brusci dialoga con il corpus della mostra, chiedendo il silenzio, affinché il suono possa vibrare nell’interiorità di ciascun visitatore. La musica diventa il mezzo attraverso cui la violenza, nelle sue molteplici forme, può essere percepita e forse compresa; un racconto sensoriale che sfida, riflette, risuona. Un racconto della sofferenza non fine a sé stesso, ma rivolto verso la speranza. In questo percorso la ricostruzione non è un ritorno al passato, quanto un atto di trasformazione. Il trauma diventa un luogo da abitare consapevolmente, da esplorare e ridefinire. È un invito a riscrivere la nostra storia, a riconoscere il dolore come parte di un percorso e ad immaginare, grazie all’arte, nuove forme di esistenza e resistenza.
L’arte di Caterina Roppo: per immaginare nuove forme di esistenza
“È interessante che ci sia più consapevolezza; il tema delle donne, il senso di colpa, il dolore, il dovere, sono tutte cose che ci trasmettiamo da madre a figlia ed erano date per scontate per secoli. Non avere sensi di colpa da donna è un atto di attivismo”, spiega l’artista, mostrando l’installazione possibile grazie al premio promosso da Incalmi, Arte Laguna Prize, e realizzata con lo “smalto a fuoco, tecnica che loro hanno recuperato perché stava morendo in Italia, utilizzata solo in gioielleria e quindi su piccole dimensioni. Un dialogo tra la pietra e lo smalto e un processo di ricerca in parallelo. Ho spiegato che io trasformo la pietra in tessuto e questo mi permette di raggiungere delle tridimensionalità senza aggiungere nessun elemento chimico, solo fili che reagiscono al calore”. Nel dialogo tra Caterina Roppo e Camilla Douraghy Fischbacher, Direttore Creativo del brand, si sono intrecciate filosofie antiche, visioni collettive e archetipi ancestrali, tessendo un filo di idee e intenzioni che sfida il convenzionale. Da questo scambio ha preso forma l’idea di una mostra di Caterina Roppo, un percorso artistico in cui arte e materia si fondono, generando una narrazione profonda e trasformativa.
Giulia Bianco
Libri consigliati:
Milano // fino al 18 aprile
Caterina Roppo. Everybody has pain somewhere
Fischbacher 1819
Via del Carmine, 9
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