A Roma una mostra racconta gli effetti positivi del colore sulle emozioni. Il curatore è Maurizio Cattelan
Con una curatela speciale e scatti fotografici d’autore, “Chromotherapia ” a Villa Medici invita a riflettere su come i colori vivi siano stimolo alla felicità, creando un’esperienza sensoriale destabilizzante e “terapeutica” per chi la osserva

Cos’hanno in comune la storia della fotografia e quella dei movimenti per l’emancipazione femminile? La risposta è in un nome: Yevonde Philone Cumbers, suffragetta e fotografa, che nel 1932, dopo aver superato caparbiamente difficoltà tecniche non indifferenti, riuscì a far esporre le proprie stampe a colori presso la Albany Gallery di Londra, ricevendo anche una brillante recensione sul prestigioso British Journal of Photography. Non era mai accaduto prima di allora in tutta la Gran Bretagna e perciò questo evento rappresentò sicuramente una tappa significativa sulla strada verso il riconoscimento della fotografia a colori come forma d’arte, sostenuto da Madame Yevonde con lo stesso impegno e lo stesso ardore con cui si batteva per i diritti delle donne. È per questo motivo che proprio a lei appartengono alcuni degli scatti che aprono la mostra intitolata Chromotherapia. La fotografia a colori che rende felici, ospitata fino a Roma, presso Villa Medici, storica sede dell’Accademia di Francia.






Il potere curativo del colore nella mostra “Chromotherapia” a Villa Medici a Roma
In questa esposizione il colore non è visto come un semplice accessorio ma come un atto di espressione radicale. È un principio attivo che agisce sul sistema nervoso, attrae, agita, scuote e, alla fine, cura. Si tratta, in realtà, di una terapia d’urto, ottenuta selezionando opere di artisti che non si sono limitati a utilizzare il colore nella fotografia ma lo hanno spinto oltre i limiti, trasformandolo in un assalto sensoriale, in una forza destabilizzante. La mostra diventa così un laboratorio sullo studio delle emozioni e del benessere psichico, quasi una seduta psicoanalitica collettiva. E lo fa anche puntando molto sull’uso di Wallpapers, gigantografie site-specific dal grande impatto visivo.
Maurizio Cattelan curatore mostra “Chromotherapia” a Villa Medici a Roma
I curatori, del resto, conoscono bene il linguaggio fotografico: si tratta di Maurizio Cattelan (Padova, 1960), qui in veste anche di artista, con le sue visioni dissonanti e provocatorie, e Sam Stourdzé, che dal 2020 dirige l’Accademia di Francia e in precedenza è stato direttore dei Rencontres d’Arles e del Musée de l’Élysée di Losanna. Per Cattelan si tratta di un ritorno a Villa Medici: la prima volta era stata nel 2021, esclusivamente come artista, per VillaToilet MartinMedici PaperParr, altra mostra fotografica alla quale aveva partecipato in qualità di ideatore dell’eccentrico magazine Toiletpaper insieme al socio Pierpaolo Ferrari (Milano, 1971) e al documentarista inglese Martin Parr (Gran Bretagna, 1952), presente anch’egli in Chromoterapia (dove, nella sezione Foodorama, denuncia con acuto realismo il nostro rapporto malato con il cibo). In quell’occasione l’allestimento, progettato da Alice Grégoire e Clément Périssé, architetti e borsisti dell’Accademia, era ospitato all’esterno, tra i viali e i prati del giardino rinascimentale.
Gatti, cani e ritratti nella mostra “Chromotherapia” a Villa Medici a Roma
Questa volta, invece, il percorso espositivo si snoda all’interno, negli spazi espositivi al piano terra. È articolato in sette sezioni, lungo le quali il colore mescola storia e contemporaneità. La sezione Early Birds è dedicata ai pionieri della fotografia a colori: oltre ai sofisticati ritratti femminili di Madame Yevonde (Gb, 1893-1975) e di Erwin Blumenfeld (Germania, 1897-1969), fotografo di Life, Vogue e Harper’s Bazaar, spiccano le ricerche sulle immagini in movimento di Harold Edgerton (Usa, 1903-90).
Tra le sezioni più stravaganti c’è Raining Cats and Dogs in cui protagonisti assoluti degli scatti di Walter Chandoha sono gatti, che giocano o se ne stanno seduti su cuscini come pascià, mentre William Wegman immortala bracchi di Weimar che guardano composti verso l’obiettivo. La sezione più inquietante è Stranger Things, nella quale colpiscono le ambigue ambientazioni di Sandy Skoglund (Usa, 1946), invase da piccoli animali dai colori improbabili. In Glossy e Femme Fatale troviamo scatti da rivista patinata di fotografi di moda come Guy Bourdin (Francia, 1928-91) e Miles Aldridge (Gb, 1964) o quelli, tutti giocati sui toni del rosa, di Juno Calipso (Gb, 1989) che smantellano i cliché sulla femminilità. In Make a Face, invece, si trovano ritratti ironici e barocchi come quelli del duo Pierre et Gilles (Francia, 1950 e 1953) e di Hassan Hajjaj (Marocco, 1961). Gli ingrandimenti delle immagini tratte da Toiletpaper dialogano trasversalmente con tutte le sezioni della mostra. L’introduzione, invece, è affidata a un cortometraggio, I colori, realizzato nel 1976 dal regista iraniano Abbas Kiarostami: sedici minuti di pura poesia.
Nicoletta R. Speltra
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