La città di Lodi ripensa la sue collezioni d’arte con la cittadinanza coinvolgendo gli artisti contemporanei
La comunità lodigiana è stata coinvolta nell'immaginare il nuovo volto del Museo Civico, che sorgerà in un vecchio linificio rigenerato. Il risultato è una mostra che accosta la storia locale all'arte contemporanea, seguendo le sponde del fiume Adda

Far rinascere la collezione civica, cooptando la cittadinanza in un esercizio di immaginazione e di rivalorizzazione del patrimonio culturale locale: così il Comune di Lodi ha deciso di ripensare la sua collezione civica in attesa di farla confluire nel nascituro Museo Civico, che aprirà insieme al futuro Opificio della Cultura all’interno dell’ex linificio lodigiano rigenerato. Per farlo, ha convogliato le speranze, aspettative e prospettive della comunità artistica e non in una mostra, Essere Fiume, che accosta pezzi storici dalle collezioni cittadine e dagli archivi storici lodigiani a opere d’arte contemporanea.





















Lodi e l’Adda. Un rapporto cruciale
Curata da Silvia Franceschini, con Arianna Angeloni Beatrice Marangoni e Anna Viola Premoli, la mostra ospitata allo Spazio21vuole stimolare una riflessione sulle relazioni tra territorio e popolazione, di cui viene delineata l’identità collettiva attraverso il rapporto con il fiume Adda.
Fondata in una posizione protetta rispetto al fiume, la città ha instaurato nei secoli una relazione complessa con l’Adda, spesso normato nella letteratura come un fiume “femminile” per la sua impetuosità e imprevedibilità. Ora distruttivo, ora generoso, l’Adda ha sempre avuto un ruolo centrale nelle attività produttive locali, dall’agricoltura al commercio, passando per la produzione artistica (e soprattutto ceramica), la ricerca dell’oro, e anche solo come luogo di ristoro e tempo libero per i lodigiani.
La mostra “Essere Fiume” ripensa la collezione civica di Lodi
Partendo dalla (ri)fondazione della città e passando attraverso eventi storici e politici, tradizioni religiose e popolari, Essere Fiume esplora l’impatto umano sul territorio fluviale con un percorso in quattro sezioni (Conformazione del territorio, Industria e Artigianato, Storia politica, Cultura popolare) che attraversano cinque secoli di storia dell’arte e dell’artigianato. Con un allestimento dello Studio Ossidiana, il percorso espositivo accosta reperti archeologici, beni librari, ceramiche e dipinti provenienti dalle collezioni del Museo Civico, dall’Archivio Storico, dalla Biblioteca Laudense (e da altri archivi e collezioni private) a opere di artisti del Novecento e della contemporaneità (molti dei quali proprio lodigiani): Gabriele Basilico, Alighiero Boetti, Luca Boffi, Gabriele Cecconi, Marcello Chiarenza, Martina Geroni, Ugo Maffi, Giuliano Mauri, Margherita Moscardini, Tonino Negri Fabio Roncato, Ettore Sottsass, Franchina Tresoldi e Alice Visentin. Le opere pittoriche del Museo Civico, ora in deposito in attesa dei restauri, sono incluse attraverso le riprese realizzate da Cosimo Filippini.

Il nuovo Museo Civico di Lodi nel futuro Opificio della Cultura
“Dalla rigenerazione di un’area storica prende vita uno spazio permanente destinato a rendere visibili i valori fondanti del Museo nella sua definizione contemporanea, ovvero un luogo al servizio della città, partecipato e vissuto, finalizzato non solo a intrattenere e divulgare cultura e arte, ma in grado di incarnare un ruolo sociale”, spiega il sindaco di Lodi, Andrea Furegato.
Il Museo, che godrà del finanziamento più ingente dal Secondo dopoguerra a oggi, e tra i più sostanziosi di sempre per la città, vuole quindi inserirsi “in una dinamica di profonda condivisione che, con nostra grande soddisfazione, non si è ancora esaurita”, ha aggiunto Furegato.

L’intervista a Silvia Franceschini, curatrice della mostra “Essere Fiume”
Come si riattualizza il museo civico italiano?
Quella di riscrivere la struttura e le fruizione del museo civico è una sfida grande e condivisa in tutta Italia, perché i musei civici sono poco visitati e spesso fanno fatica a sviluppare una programmazione al passo con gli altri musei. Ci sono però anche esempi positivi, come Castelbuono, motivo per cui abbiamo invitato la direttrice Laura Barreca a parlare e condividere il loro modello. Quello che abbiamo fatto a Lodi è stato creare un percorso che fosse trasversale, accostando i diverse opere e medium che solitamente vengono separati e mettendoli in dialogo con l’arte contemporanea. Per creare queste connessioni ci siamo appoggiati anche al tema cardine del fiume.
Come si è consolidato il rapporto tra Lodi e l’Adda?
La relazione tra Lodi e l’Adda è una storia che attraversa i secoli. Lodi ha avuto una prima fondazione romana come Laus Pompeia, lontano dal fiume: è poi stata distrutta dai Milanesi e ricostruita da Federico Barbarossa sul fiume, un luogo strategico per la protezione dai nemici e per il commercio. I monaci benedettini hanno bonificato il fiume per arare le terre circostanti, un intervento che segna l’inizio degli interventi umani che hanno cambiato la conformazione del corso d’acqua, unitamente a fenomeni naturali come inondazioni e secche, sempre più frequenti con il cambiamento climatico. La storia ambientale si intreccia con la storia artistica e politica: Leonardo veniva sull’Adda a redigere vari studi, poi raccolti nel suoi codici, come il Codice sul Volo degli Uccelli esposto in mostra in una prestigiosa riproduzione. Napoleone condusse a Lodi una celebre battaglia sul suo ponte nel 1796 ritratta in varie rappresentazioni. Accanto alla storia ufficiale vi è anche la cultura popolare, tra cui le tradizioni legate ai riti religiosi, alle Colonie fluviali, alla balneazione nel fiume e alle numerose feste rionali che si sono poi via via perse nel tempo.

Come la si recupera?
Tutte queste narrative si intrecciano nella mostra attraverso l’accostamento di diversi materiali, dalle opere del museo a numerosi materiali d’archivio e ad opere di arte contemporanea. Abbiamo invitato diversi artisti a produrre opere legate alla storia e al presente del fiume. Margherita Moscardini, ad esempio, grazie al supporto di Platea Palazzo Galeano e alla collaborazione con Caritas Lodigiana, ha prodotto il film The City costruito come una lenta immagine in movimento delle trasformazioni dell’abitare il fiume e le sue infrastrutture.
Quali altre opere avete commissionato?
Abbiamo chiamato Alice Visentin, giovane artista che nasce come pittrice ma si allarga ad altre sperimentazioni. Lei ha fatto una grande opera a parete dipinta con il blu di guado studiando le cercatrici d’oro e ispirandosi alla poetessa americana Anne Waldman. Abbiamo chiamato l’artista Cosimo Filippini a filmare i dipinti delle Collezioni Civiche (che non potevamo esporre allo Spazio 21) nel deposito dove sono ora ospitate, in attesa di futuri restauri. Un intervento che ci avvicina anche al concetto, molto attuale, di cantiere-museo, di museo che si costruisce sempre, si interroga e cambia col tempo.

La collaborazione con diversi enti locali, dalla Fondazione Giuliano Mauri a Platea è un’alleanza prodromica di progetti futuri?
Assolutamente, l’idea di museo diffuso e poroso di cui si parla tanto passa proprio da qui. Volevamo trovare dei punti di connessione: l’abbiamo fatto con Platea suddividendo nei due spazi espositivi la mostra di Moscardini, e ancora con la Fondazione Giuliano Mauri l’abbiamo fatto ospitando le opere dell’artista, che rimandano alla sua collezione e allo spazio dedicato a Mauri. Poi ci sono altre realtà più territoriali, come il Parco Adda Sud, che è il parco naturale sulle sponde del fiume, e varie associazioni e realtà che hanno collaborato con noi. Senza dimenticare i collezionisti privati, che sono sempre un tema importante quando si sviluppa un museo.
Quali sono le speranze e le aspettative per questo nuovo Museo Civico?
Ognuno potrebbe avere la sua risposta, il sindaco o un cittadino qualunque ne darebbero di diverse dalla mia. Io ho una visione di museo sociale e partecipato, che sia radicato in un contesto locale e allo stesso tempo guardi a una realtà internazionale, e che quindi sappia porsi sulla mappa dell’arte e della cultura contemporanea. Che sappia mostrare le proprie collezioni ma faccia anche commissioni, e che sia un museo che sappia leggere i grossi cambiamenti che stanno avvenendo. Siamo abituati a vederlo fare dai musei delle grandi città: Lodi è una realtà relativamente di provincia, ma è proprio la provincia che sta vivendo tantissimi cambiamenti, dalla migrazione all’agricoltura. Il museo deve leggere la realtà in cui si trova e connettersi a discussioni globali, politiche e sociali.
Giulia Giaume
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