Ready-made e arte immersiva. Ora che è finito l’effetto wow che si fa?

Col tempo ready-made e arte immersiva stanno diventando sempre meno cool. Non è la morte di un paradigma, c’è solo meno copertura per le ideucce. Appunti per salvare il salvabile

 
Paola Pivi è una delle migliori artiste italiane viventi, su questo non ci sono dubbi. Il suo concettualismo giulivo e d’impatto, l’irriverenza e un’ironia per niente “facile” – per citare il bel titolo della recente mostra al MAMbo di Bologna – la rendono, con Maurizio Cattelan, una degna erede di un filone singolare, dunque importante, della nostra arte contemporanea. Quello, tutt’altro che affollato, riconducibile a Pino Pascali e, a salire, ad Alberto Savinio – giustamente questi due giganti dell’ironia sono stati inseriti nella predetta mostra. Detto ciò, l’elicottero capovolto e collocato all’interno di una chiesa, a Cremona, di Pivi (A helicopter upside down) lascia perplessi. E non perché sia stato collocato in una chiesa, figuriamoci; avrebbe fatto lo stesso effetto se fosse stato piazzato in uno stadio, o in una caserma. No, lascia perplessi perché è un lavoro debole, e a maggior ragione per il fatto di risultare – invece – attualissimo sul piano contenutistico. Difficile, infatti, non vederci un’allusione ai tempi spaventosamente guerreschi che stiamo vivendo, anche se il velivolo non è di tipo militare.

La scomparsa dell’effetto wow

Ora, possibile che un lavoro pressoché identico ad altri realizzati dalla stessa artista a partire dalla fine degli anni Novanta – uno le è valso il Leone d’oro alla Biennale di Venezia – risulti improvvisamente insulso? Per giunta, nonostante la sua attualità sul piano del “contenuto”? Certo che è possibile. Si è forse indebolita l’idea che lo sorregge? In parte. Più interessante e proficuo, però, è vedere la questione da un altro punto di vista. Questo, che l’effetto wow suscitato – per molto tempo – da ready-made e arte immersiva si è esaurito, sicché questo tipo di interventi cattura sempre meno. Insomma, il ready-made non è più cool. Ci sta, quando i paradigmi invecchiano a svanire per prima è la fascinazione emanata fintanto che sono allo zenit. S’inceppa, in altre parole, quell’automatismo per cui ogni opera d’arte appare buona, per il fatto di integrare il paradigma che è sugli scudi. Così, oggi per gli artisti dediti al ready-made e all’arte immersiva limitarsi al compitino non è più possibile; senza la copertura garantita dalla coolness le ideucce non bastano.

We Are the Baby Gang. Paola Pivi. Photo Pep Herrero. Courtesy Fundació Joan Miró, 2023
We Are the Baby Gang. Paola Pivi. Photo Pep Herrero. Courtesy Fundació Joan Miró, 2023

Anche le installazioni ambientali si possono criticare

A pensarci, ci sta anche il lato faceto della faccenda. Ossia il dileggio, nel senso che la disamina volgare dell’opera d’arte è un rischio che questa non può che correre, una volta terminato il suo essere percepita come aliena e inavvicinabile. Non bisogna scandalizzarsi. Attaccare frontalmente un’installazione ambientale non può essere meno legittimo di quanto non lo sia definire “una crosta” un dipinto di scarsa qualità. E siccome un buon 90% dei lavori pittorici – e ci teniamo stretti – è costituito da “croste”, non si vede perché non possa esserlo, l’equivalente delle “croste”, anche il 90% delle installazioni ambientali. Sul web circola un meme con il celebre grido liberatorio del ragionier Fantozzi rimodulato come segue: “Le mostre immersive sono una ca**ta pazzesca!”’. L’epico sfogo è accompagnato da sciami di commenti che, di rimando, recitano più o meno tutti così: ‘Qualcuno doveva pur dirlo!’. Come non ridere? Infatti si ride. Avviene ogni volta che un tabù cade, quando cioè si passa da una prima fase, di sacralizzazione, e a una seconda, antitetica, di desacralizzazione. Ma attenzione, di solito segue una terza e definitiva fase, di stabilizzazione matura. Lo insegna proprio il film di Sergej Èjzenštein, ora oggetto di una sorta di sdoganamento inverso, che sta avvenendo – cioè – a partire dal pubblico. Molti se ne stanno addirittura innamorando. Alla faccia del dileggio.

La morte apparente del ready-made e dell’arte immersiva

Questo per dire: niente panico. La morte del ready-made e dell’installazione ambientale è solo apparente. Un dispositivo che ha incantato per un secolo e passa non può morire tanto facilmente. Solo, il tempo gli ha tolto di dosso la coolness, cioè a dire il superfluo. Ciò non significa che non possa più creare estasi – come direbbe Mark Rothko, per il quale l’arte è anzitutto estasi. No, significa soltanto che non ci si può più nascondere dietro il cosiddetto hype. Gli artisti più accorti lo hanno capito, infatti stanno rapidamente virando verso altre forme d’arte, soprattutto quelli meno solidi. Quanto agli altri, attendiamo con gioia nuovi capolavori. Ad averne bisogno, oggi più che mai, è il nostro malandato mondo.

Pericle Guaglianone

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Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone è nato a Roma negli anni ’70. Da bambino riusciva a riconoscere tutte le automobili dalla forma dei fanali accesi la notte. Gli piacevano tanto anche gli atlanti, li studiava ore e ore. Le bandiere erano un’altra sua…

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