Visibile e invisibile. La mostra di Gregorio Botta in Veneto
L’artista e famoso giornalista di Repubblica è protagonista di una mostra personale negli spazi di Atipografia ad Arzignano che racconta i temi e le tecniche della sua pratica artistica negli spazi dell’ex tipografia vicentina

Gregorio Botta (Napoli, 1953) ha sviluppato una poetica profondamente legata agli elementi naturali e alla dimensione dell’attesa, della soglia tra visibile e invisibile, della transizione tra presenza e assenza. La sua ricerca artistica si nutre di materiali come cera, alabastro, ferro e vetro, combinati con gli elementi dell’acqua, dell’aria e della luce e le sue opere scandiscono le tappe di un articolato itinerario contemplativo. Tutti questi temi si intrecciano e si concentrano in modo esemplare nella sua mostra personale intitolata Disgelo che si svolge nei locali di Atipografia, il mirabile spazio espositivo aperto nell’entroterra vicentino da Elena Dal Molin, che in questo caso figura anche come curatrice.

La personale di Gregorio Botta da Atipografia
Siamo coinvolti in molteplici percorsi di avvicinamento a una meta irraggiungibile, sospesi nel presagio di un disvelamento sempre rimandato: alle pareti, opere come Velario I e II (2023) e Disgelo I, II e III (2024) presentano cortine di patine traslucide, diafane pellicole che imprigionano e smorzano i contorni di rametti e infiorescenze vegetali, mentre in Aprile II (2024), la prima installazione a terra che ci viene incontro, il sottile strato alabastrino che vela un ciuffo di capelvenere ne esalta al contempo tutta la fragile delicatezza.
Il termine disgelo ci rimanda a un fenomeno fisico in cui le cose si svelano lentamente, è il momento sospeso in cui si attua il discrimine tra apparizione e nascondimento. Il vento che lo anima non è il toro selvaggio di Nietzsche che tutto travolge, ma un fremito leggero, quello stesso che, nel locale che devia a destra della sala principale, anima l’opera intitolata Non ancora (2013): qui, in una teca in ferro brunito che avvolge come un ciborio o un bozzolo architettonico un libro che vediamo scompaginato da un soffio misterioso, le pagine bianche stormiscono, il movimento dei fogli si trasfigura e si trasforma in un fruscio di foglie: nell’attesa, forse, che un discorso prenda forma, che anch’esso germini e affiori sulle impalpabili e immacolate superfici cartacee, a meno che non ci troviamo in presenza di un sermone le cui parole siano inavvertibili, anch’esse fuse nel vento, incorporee e aeree.

Le opere nella mostra Disgelo
Ma le parole possiamo trovarle anche espresse e vivificate da un altro elemento naturale, l’acqua, come nell’opera intitolata Each second is the last, realizzata nel 2020 in omaggio a una composizione della poetessa americana Emily Dickinson. I versi che danno il titolo a questo lavoro, graffiti in corsivo su una lastra di cera, celebrano la flagranza di ogni istante vissuto come se fosse l’ultimo: incise come una ferita in un materiale malleabile e vulnerabile al pari della carne, queste parole formano delle scalfitture da cui stillano dei rivoletti d’acqua, sono al contempo ferita e sorgente, polla inesauribile e discreta della natura naturans, un gemere continuo e ultimativo, nel duplice significato di lamento sommesso e inarrestabile trasudare.
La presenza discreta, persistente e inafferrabile dell’acqua la riscontriamo anche in Angelo sorgivo (2024): un parallelepipedo di cera posato su una struttura di ferro presenta su un lato una piccola apertura, una feritoia che ci invita a guardare al suo interno, costituito da una successione di cellette separate da ulteriori finestrelle, l’ultima delle quali, in una luce crepuscolare e opalescente, lascia intravedere, creando un ulteriore ritardo di sguardo, lo sgocciolamento di un’acqua che stilla da un’invisibile scaturigine.

I temi nelle opere di Botta
In fondo alla sala principale si intersecano le rotazioni di La danse (2024), un’opera che consiste in due strutture mobili composte entrambe da una stecca di vetro in equilibrio su un perno ruotante, alle cui estremità, situate a distanze diverse per controbilanciare il loro peso, sono posate una piccola pietra e una coppa di cera: da una parte la natura nella sua grezza identità minerale, dall’altra una materia naturale che riproduce il prodotto archetipico dell’artigianalità e della civiltà. Il loro doppio movimento, dapprima scombinato, arriva poi a sincronizzarsi in una sorta di pas de deux, facendo pensare a una consonanza di ritmi primordiali, al raggiungimento, sia pure per un breve istante, di un’armonia microcosmica fondata sull’equilibrio e su una sfida alla gravità.
Gli spazi di Atipografia ad Arzignano
Del resto la conformazione stessa dello spazio ristrutturato dallo Studio AMAA sull’ossatura dell’originario stabilimento tipografico – che risulta divaricato in un corpo principale e uno secondario, separati entrambi da grandi vetrate tra le quali si incunea una porzione del cortile interno – dà luogo a un gioco di riflessi, di rispecchiamenti e di velature che moltiplicano i rallentamenti, i trabocchetti e i ritardi della visione, lasciandoci vieppiù stupiti e sospesi, dilatando a oltranza quel momento indecifrabile che prelude all’attraversamento di una soglia destinata sempre a sfuggirci.
Alberto Mugnaini
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