La scultura e il suo suono. Intervista all’artista Federico Fusj

In occasione della mostra “Courtesy. Silenziare la forma”, abbiamo intervistato lo scultore e sound artist Federico Fusj, per farci raccontare la sua pratica multimediale

Mandato istituzionale dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena è quello di organizzare corsi di alto perfezionamento musicale. Affiancata da una pregevole raccolta d’arte da oltre un secolo l’Accademia alloggia all’interno di un palazzo senese il cui nucleo centrale risale al XII Secolo. L’Accademia è pure celebre per il suo festival estivo diretto da Nicola Sani e dedicato alla produzione musicale di ogni epoca. Per questa occasione i suoi spazi si aprono ad eventi pubblici, ma dallo scorso gennaio due stanze del Palazzo Chigi-Saracini ospitano le sculture in marmo di Federico Fusj (Siena, 1967). Non è un caso: intorno al rapporto con il suono questo artista ha impostato tanto il suo lavoro artistico che quello di insegnate presso la Scuola di scultura dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Da questa particolare sensibilità è nata poi l’attività sviluppata nella programmazione di una piattaforma radiofonica in continua espansione come radioartefondata nel 2001. Ma il suono è parte attiva pure della sua opera-manifesto proposta su CD dal titolo La scultura arte sonora (2023). E il riferimento al suono torna del resto anche nel titolo dell’esposizione ora in corso nel palazzo senese. In Courtesy. Silenziare la forma, dove ci imbattiamo inizialmente nel termine courtesy in riferimento all’utilizzo estemporaneo dello spazio per l’occasione messo a disposizione per questa occasione. Se per Fusj scolpire è un’azione anche sonora questa esposizione accentua la relazione tra le opere esposte e lo spazio che le ospita silenziandole. Per comprenderne meglio lo scopo lo abbiamo intervistato. 

Intervista a Federico Fusj

Nel tuo CD La scultura come arte sonora ascoltiamo il ripetuto battere del mazzuolo sulla testa dello scalpello, nessuna forma però ci viene restituita. 
L’intenzione era quella di presentare la scultura in quanto disciplina e azione, evidenziando la sua pratica e non il risultato. Il primo atto che determina una scultura è la produzione di un suono. L’azione performativa che si compie scolpendo ha come primo risultato non l’asportazione meccanica di una parte di materia solida, ma appunto la produzione di un suono. Il contatto tra mazzuolo e scalpello genera un suono e insieme determina un’azione di carattere balistico terminale. Il colpo assestato penetra nella materia nel punto esatto dove lo scultore ha mirato e a secondo dell’intensità, della forza e della direzione asporta una certa quantità di materia. La scultura a taglio diretto che io pratico non è volta a determinare un pieno, ma in prima di tutto crea un vuoto. Non tolgo il superfluo ma scolpisco uno spazio. Un vuoto che è informazione della materia e che determina quello che noi vediamo.

Stai proponendo il suono come guida all’azione dello scolpire?  
Quando il colpo del mazzuolo detona sullo scalpello il primo risultato è esattamente questo. Ascoltandosi lo scultore è in grado non solo di leggere ciò che sta scolpendo ma di prevedere quelli che saranno gli effetti. La mia scultura è un’azione messa in atto direttamente. L’esecuzione musicale o la performance ubbidiscono a regole sia fisse che variabili, sono legate a una traccia a uno spartito da eseguire. Mentre l’azione eseguita direttamente dal singolo artista non è replicabile. Un esempio: quelle di Beuys non erano performance, ma azioni. Non replicabili. 

Per questa esposizione le sculture sono state collocate in spazi nati come domestici, poi convertiti in aule di insegnamento o usate all’interno del percorso museale. Un azzardo?
Quando ho ricevuto la disponibilità di quelle sale mi sono posto degli interrogativi. Si trattava di uno spazio apparentemente semplice in realtà con una serie di stratificazioni già delineate. Ma nel momento in cui ho collocato nella stanza il primo pezzo, quello scolpito nel marmo bianco con il plinto verde fluo, mi sono reso conto che la dimensione dello spazio che diveniva così “espositivo” era perfetta e la scultura restituiva lo spazio in una nuova funzione. 

La scultura secondo Federico Fusj

La scultura e la relazione con lo spazio che la ospita.  Pare un punto ricorrente nel tuo lavoro.
L’opera scolpita è da sempre legata allo spazio che la ospita, ne erano coscienti anche i greci, come i romani e tutti i loro successori. Durante il periodo rinascimentale a Firenze in Piazza della Signoria il reticolo della pavimentazione disponeva prospetticamente la posizione delle statue presenti. È sempre stato così ovunque almeno sino a Lucio Fontana. 

Che c’entra Fontana?
Fontana è stato prima di tutto uno scultore. Si è difatti formato nel Corso di scultura all’Accademia di Brera: ha praticato per tutta la vita proprio questo mestiere portando lo spazio dentro l’opera. Dopo di lui l’Arte Povera e il Concettuale hanno aperto rimandi ad altri spazi: “politici” o “intellettuali” che fossero. La Transavanguardia così come altri dopo ha poi ripreso, in termini postmoderni, i canoni del quadro appeso alla parete o della scultura messa su una base, ma ormai la porta era stata abbattuta e ad abbatterla è stato proprio Fontana.

Cosa può dire oggi di nuovo la scultura?
Posso rispondere solo a proposito di quel che faccio io. Lo “scopo” della mia scultura, o almeno uno dei principali, è la restituzione: l’opera deve restituire lo spazio in maniera diversa a quello che precede la sua irruzione. Alla Chigiana ha restituito lo spazio assegnatole chiamando in causa i pannelli appesi alle pareti, quello che vengono utilizzati temporaneamente per esporre le grafiche. Stavano per essere rimossi. Ma una volta collocata la scultura al centro di ogni stanza i pannelli hanno iniziato a fungere da sfondo privilegiato per l’osservazione della stessa da diversi punti possibili a 360°. Grazie a questa inedita relazione i pannelli hanno acquistato una nuova funzione visiva, che va oltre la mera funzione di supporti.

E cioè quale? 
In questa nuova versione esercitano un effetto di silenziatura visiva delle sculture, la stessa esercitata dai suppressorquelli che in Italia chiamiamo silenziatori. Si tratta di quei cilindri che vengono avvitati sul vivo di volata, la parte estrema delle armi da fuoco. Hanno una doppia funzione, attenuano il suono emesso dall’arma e stabilizzano il tiro sopprimendo anche le vibrazioni. So che la metafora può apparire efferata, ma qui stiamo parlando di meccanica, di fisica del suono applicata al vedere. Quello che vediamo in questa esposizione sono la scultura che è nata dall’azione sonora e i suoi dintorni, nello spazio. Solo insieme formano l’opera. Silenziare la forma, significa restituirla focalizzata nella sua multiformità. È una courtesy visiva che genera un nuovo ascoltare attraverso il vedere.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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