È l’anno di Valerio Adami: una grandiosa mostra da Giò Marconi a Milano

Tra i più emblematici protagonisti della Figurazione Narrativa, a sessant’anni dalla sua prima apparizione nello Studio Marconi e a novant’anni dalla sua nascita, torna a Milano una mostra sul poeta a colori

Valerio Adami (Bologna, 1935) è un poeta a colori. Ma anche un intellettuale, un regista, un pilota ad alta velocità, un migratore errante. La sua fucina creativa? Il mondo. Ha vissuto in città emblematiche come Parigi, Londra, New York, ma anche in America Latina, in Israele e in India, immergendosi in un vivace crocevia di intellettuali, tra cui Carlos Fuentes, Octavio Paz, Jacques Derrida, Italo Calvino, Antonio Tabucchi e Luciano Berio.
A novant’anni dalla sua nascita e a sessant’anni dalla sua prima apparizione in una mostra collettiva inaugurale dello Studio Marconi, il telescopico Valerio Adami torna negli stessi spazi che oggi ospitano Gió Marconi con un’ampia selezione di opere, tra cui tele, disegni, fotografie e materiale di archivio.

Valerio Adami alla galleria Gió Marconi di Milano

In mostra un itinerario cronologico dedicato all’evoluzione della sua produzione artistica, dal 1962 ai primi anni Settanta, realizzata durante i suoi soggiorni a Londra, Parigi, Arona e New York. In quegli anni, dopo la sperimentazione giovanile plasmata dalle correnti espressioniste di Bacon e Kokoschka, Adami comincia a sviluppare una sua grammatica visiva. Perché in fondo, per Adami, disegnare è un modo di parlare. Dalle ceneri dell’arte informale vira così verso la ricerca della rappresentazione, ora rifacendosi alla semplificazione geometrica di Fernand Léger, ora alla molteplicità di punti prospettici del cubismo. L’artista stesso nel suo libro-diario Sinopie dichiara: “un quadro è la registrazione di una realtà ben precisa, sia pure nella successione dei suoi atti contraddittori: l’uomo che si ripropone ogni istante la propria esistenza”.

La profondità della ricerca artistica di Valerio Adami oltre la Pop Art

Snodato in tre piani, il percorso espositivo inizia da Londra, dove Adami adotta colori vibranti, stesi per campiture piatte e fa risaltare l’inconfondibile segno-disegno marcato, che contorna le figure. Filtra con lenti europee le immagini bidimensionali della Pop Art americana, semplificandole, frammentandole e ricomponendole, come in Vetrina (1969), oppure le carica di elementi surrealistici (Auto-lavaggio-mentale, 1964). Pur essendo talvolta incastrato nella definizione di artista pop, Adami condivide solo alcuni tratti con questo movimento, derivanti dai fenomeni massmediatici degli anni Cinquanta. L’arte, per lui acronimo di amore, razionalità, tradizione ed estasi, è uno strumento mentale di trasformazione del mondo, lontano dagli intenti di impersonalità di Lichtenstein e Warhol.

Il cinema e la velocità nella pittura di Valerio Adami in mostra a Milano

Si trasferisce poi nella casa-falansterio, villa Cantoni, ad Arona, presto punto di convergenze culturali per intellettuali e artisti, dove allestisce il suo atelier. In questo periodo realizza insieme al fratello Giancarlo Romani Adami, assistente di Federico Fellini sul set de La Dolce Vita, anche il film Vacanze nel deserto (1971) – proiettato in mostra – girato in stile Nouvelle Vague. In omaggio alla sua passione per le auto da corsa e la velocità, una sala raccoglie una serie di tele dedicate al tema, tra cui una monumentale opera inedita.

La poetica introspettiva di Valerio Adami

Altra tappa del percorso, Parigi, sua città d’elezione. Qui indaga, metaforicamente, l’introspezione umana attraverso interni urbani, dipinti in delicati toni pastello. Ispirandosi alla natura multi-angolare picassiana, in Privacy. Gli omosessuali (1971) e Scena borghese. Una cameriera di buon cuore (1973), disloca le immagini in enigmatiche composizioni, dove la forza della deflagrazione dei corpi sembra riflettere e ricongiungersi ai moti dell’animo. La sua pratica diventa sempre più scrittura visiva: continua ad intrecciare associazioni di idee, echi letterari, filosofici e cinematografici, dando vita a un flusso di visione che trasfigura la realtà attraverso la metafora, creando una “figurazione integrale della nostra realtà”, come scrisse Emilio Tadini.

Valerio Adami, Laboratorio, Installation view at Gió Marconi, Milano, 2025. Photo Fabio Mantegna
Valerio Adami, Laboratorio, Installation view at Gió Marconi, Milano, 2025. Photo Fabio Mantegna

Tra pittura e fotografia, l’attenzione per il movimento in Valerio Adami

Dopo gli interni parigini, l’occhio di Adami si sposta verso gli esterni di New York, dove si stabilisce nel 1966. Il dinamismo della metropoli lo strega: nella città mai quieta, inizia a catturare frammenti seriali con la sua macchina fotografica, componendo un autentico archivio visivo, da cui attingerà per molte delle sue opere future. All’ultimo piano della mostra sono esposte alcune sue fotografie in bianco e nero, da cui nascono alcune delle opere più celebri, come Le latrine di Times Square, di cui una versione è presente nell’esposizione. La mostra include anche riferimenti a Cuba, visitata nel 1967, in un periodo storico cruciale per l’isola, segnato da un vivace fermento culturale nel contesto post-rivoluzionario, e a Milano, città chiave per i suoi tragitti artistici, dove nasce il sodalizio con lo Studio Marconi a partire dal debutto nel 1965. Nell’arte di Adami, brandelli di realtà – sospesi tra concretezza e visione, razionalità e sogno – si concatenano a luoghi, dove il colore si fa parola, il segno diventa pensiero.

Noemi Palmieri

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