Da Johannesburg a Monza. Una collezione da valorizzare
Villa Reale, Monza – fino al 2 luglio 2017. Un'esposizione nebulosa punta lo sguardo sulla collezione conservata alla Johannesburg Art Gallery. Senza tuttavia garantirle la meritata visibilità.
Il più importante museo d’arte del continente africano apre al pubblico nel 1910 per mano di Lady Florence Phillips. Moglie del magnate Sir Lionel Phillips e coadiuvata dallo spiccato estro di Hugh Lane, la donna riesce a organizzare un’istituzione non solo tempio del collezionismo, ma un vero e proprio luogo di promozione culturale e divulgazione artistica.
Alla Villa Reale di Monza, nelle pregevolissime sale degli appartamenti del Principe di Napoli e della Duchessa di Genova, approdano sessanta opere eterogenee per tecnica e collocazione storica.
L’iter espositivo tenta di ripercorrere circa un secolo di storia dell’arte occidentale, attraverso diversi olii e una presenza consistente di acquerelli, litografie e grafiche a pastello; tecniche molto lontane dalla produzione più tradizionale dei celeberrimi artisti in mostra.
Se da un punto di vista risulta assai interessante schiudere piccole sorprese nella carriera di un Picasso o di un Cézanne, di un Matisse oppure di un Munch, dall’altro si presenta agli occhi dell’osservatore una visione distorta e marginale delle personalità che compongono la collezione.
LIMITI E DIFFICOLTÀ
Esiste un grande scarto tra lo slancio di passione che ha portato alla creazione di un insieme di opere comunque di grande valore e la proposta espositiva brianzola.
Volente o nolente, il grande pubblico ha “fame” di fama e di quadri da copertina. I nomi certamente sono di massimo spessore, ma è la caratura delle opere che deve tarare l’intera comunicazione intorno alla mostra.
Un allestimento scarno vede la collezione sudafricana disposta su pannelli che, come totem, si ergono al centro delle stanze, obbligando l’osservatore a compiere un percorso di visita ostico alla prossemica più naturale. Le didascalie tirano linee sommarie su l’uno o l’altro artista; grandi, cromaticamente di non facile lettura, talvolta invadono lo spazio di contemplazione dell’opera, quasi a mancarne di rispetto.
LA MOSTRA
Le prime pagine della labirintica passeggiata raccontano l’età vittoriana e la floridità anglosassone attraverso il forte lirismo di alcuni dipinti Preraffaelliti come Regina cordium, eterno capolavoro di Dante Gabriele Rossetti. L’Ottocento inglese prosegue con William Turner e due suoi paesaggi restituiti con un acquerello e un’acquaforte. La grande sezione degli impressionisti francesi, acquistati quando non erano ancora in voga, si apre con le visioni naturali di Gustave Courbet, di Jean-François Millet e di Alfred Sisley. I paesaggi introducono le vibrazioni di luce della Primavera di Claude Monet, nota eccelsa dell’intera esposizione insieme a La Rochelle, dipinta nel 1886 dal rivoluzionario puntinista Paul Signac. Dal Postimpressionismo ai Nabis, dai simbolisti ai Fauves, un singhiozzo sincopato porta all’ultima sala dei moderni; Study of Portrait of a man, piccolo olio di Francis Bacon, è miele per lo spettatore che verso la fine troverà ancora un’occasione per riflettere sulla collettiva.
UNA MANCANZA EVIDENTE
Ciò che non ha fatto Monza è scritto nelle volontà di Lady Florence Phillips. Valorizzare l’arte sudafricana e dell’Africa in genere, alimentando la collocazione della sensibilità di queste figure a fianco dei giganti europei. L’ultima sezione della mostra, fortemente in sordina, dedica un corridoio all’arte africana contemporanea e alle sue sfumature. Figlie dei retaggi sociali, di caldi paesaggi e delle più squisite influenze extra-continentali, le opere evocano mondi altri attraverso un esotismo malinconico e non comune. Un grande patrimonio che negli ultimi anni ha riscosso sempre maggiore risonanza e apprezzamento anche tra il pubblico europeo. Un inestimabile tesoro ha appena cominciato a brillare, e in futuro sarà destinato a essere ospitato e valorizzato nelle più grandi istituzioni da unico protagonista.
– Davide Merlo
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