Da Hayez a Boldini. Una mostra a Brescia
Palazzo Martinengo, Brescia – fino all’11 giugno 2017. Le anime e i volti della pittura italiana ottocentesca sono i protagonisti della mostra ospite della sede lombarda. Tra capolavori di grande impatto e qualche scivolone allestitivo.
Si spera, ogni volta, che non sia il solito pregiudizio a farci accostare con sospetto alle tante mostre allestite sotto la formula ormai consueta “da questo a quello”: da Giotto a de Chirico, da Tutankhamon a van Gogh… E poi, quasi sempre, si rimane delusi di fronte a eventi che raccolgono un gran numero di opere racimolate da collezioni private, lasciando spesso margine a dubbi impianti narrativi non sostenuti da una solida ricerca di base.
Anche la mostra in corso a Palazzo Martinengo non si sottrae, purtroppo, a questi limiti. I pannelli esplicativi sono riassunti di respiro scolastico, adatti ad accompagnare un onesto racconto, con intenti realmente didattici, lungo le varie fasi della pittura dell’Ottocento italiano. I dipinti esposti, però, saltano da un decennio all’altro, da un soggetto all’altro, e si fatica a seguire il filo della narrazione.
GLI ARTISTI…
Resta comunque possibile osservare opere di grande qualità, provenienti soprattutto dal collezionismo privato e quindi solitamente poco accessibili. Se ne pescano in ogni sezione: nella prima sala Venere allaccia il cinto a Giunone (1810-12 circa) di Andrea Appiani mostra la complessità del raccordo tra fonti diverse sotteso alla pittura del protagonista della Milano napoleonica, con ricordi che mettono insieme Raffaello e la forza tonale dei grandi veneti del Cinquecento. Dopo un quindicennio si cambia completamente scenario con la Maria Stuarda (1827) di Francesco Hayez, dove lo sforzo di attualizzare un momento della storia anglosassone porta a far sfilare intorno alla regina martire un parterre di personaggi contemporanei, in abiti appartenenti a diverse epoche, tra armature e sbuffi rinascimentali, pizzi e colletti della Milano spagnola. È sempre di Hayez il sontuoso Ritratto del principe Emiliano Barbiano Belgiojoso d’Este (1846), cui tiene testa l’altro Ritratto di un collezionista (1835 circa) di Giuseppe Molteni, anche restauratore di fama europea, che qui, nel rispondere a una precisa richiesta del committente, riesce a infondere una vena di compiaciuta ironia alla rappresentazione di questo “giovin signore” annoiato, che per ammazzare il tempo, si diletta a pescare pesci rossi con una cannetta per bimbi da uno dei grandi vasi cinesi della sua collezione.
… E LE OPERE
L’Autoritratto del Piccio si colloca tra i più potenti prodotti della ritrattistica lombarda di metà Ottocento. Si passa poi attraverso la Scapigliatura milanese, la pittura di “macchia” toscana, i vari realismi, più o meno idealizzati, di ogni scuola. Rimangono, anche qui, immagini da prelevare singolarmente e custodire nella memoria: il Mattino sull’Arno (1868) del fiorentino Telemaco Signorini e la Marina a Castiglioncello (1863 circa) del napoletano Giuseppe Abbati sono due prove distanti, ma ugualmente mirabili, di restituzione del sentimento per il paesaggio. E si arriva, tra i divisionismi di Segantini, Morbelli e Pellizza da Volpedo – autore del modernissimo Membra stanche o Famiglia di emigranti (1905-06 circa) –, di estrema sintesi coloristica e formale, alla glaciale bellezza delle donne, sensuali e provocanti, ritratte da Boldini. Il pastello con il Ritratto della baronessa Malvina-Marie Vitta è un’esibizione impressionante di virtuosismo e di stile.
– Stefano Bruzzese
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #3
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