La lezione di Hokusai. A Roma
Dalla sinergia tra Roma Capitale, l'Assessorato alla crescita culturale e il supporto dell'Ambasciata Giapponese nasce l'esposizione dedicata al grande maestro dell'ukiyoe e alla sua lezione, Carica di conseguenze per gli artisti locali ma destinata a esercitare una significativa influenza anche in ambito europeo, con il diffondersi del japonisme.
“[…] All’età di cinquant’anni ho disegnato qualcosa di buono, ma fino a quel che ho raffigurato a settant’anni non c’è nulla degno di considerazione. A settantatré ho un po’ intuito l’essenza della struttura della natura, uccelli, pesci, animali, insetti, alberi, erbe. A ottant’anni avrò sviluppato questa capacità ancora oltre, mentre a novanta riuscirò a raggiungere il segreto della pittura. A cento anni avrò forse veramente raggiunto la dimensione del divino. Quando ne avrò centodieci, anche solo un punto o una linea saranno dotati di vita propria” (Katsushika Hokusai, Prefazione alle Cento vedute del monte Fuji, 1834). Se l’artista raggiunse gli ottantanove anni, fu la sua lezione ad assumere un respiro così ampio da fare scuola, con l’inconfondibile stile ukiyoe, “immagini del mondo fluttuante”.
Katsushika Hokusai (Edo, 1760-1849) riuscì a spaziare tra una considerevole molteplicità di soggetti, formati e tecniche, dimostrando un grande estro sperimentale e uno sguardo attento e poliedrico: come ricordava Bruno Munari, “non era soltanto un pittore: aveva curiosità leonardesche, si interessava di architetture, macchine strane, costumi; si divertiva a fare strabilianti caricature”. Dalle silografie policrome ai rifinitissimi surimono, dipinti su rotolo per committenti privati, fino ai suoi celebri manga.
UN ESEMPIO CHE HA LASCIATO IL SEGNO
Immancabili, in mostra, le vedute della serie dedicata al Monte Fuji, in primo piano o di sfondo alle attività umane, e due versioni della Grande Onda che irrompe, calligrafica e potente, sulla costa di Kanagawa. Altro tema tipicamente ukiyoe è quello della bellezza femminile: geishe di una elegante sensualità, cortigiane dai volti allungati e riccamente abbigliate, rappresentate come icone della moda coeva. In particolare quelle massive e concrete di Keisan Eisen, artista di circa vent’anni più giovane di Hokusai, furono fonte di ispirazione per van Gogh, convinto estimatore dell’arte giapponese: “Quello che invidio ai giapponesi è l’estrema limpidezza che ogni elemento ha nelle loro opere […]: sono semplici come un respiro e riescono a creare una figura con pochi ma decisi tratti, con la stessa facilità con la quale ci abbottoniamo il gilet”, scrive nel 1888 in una lettera al fratello Theo, sottolineando l’impatto che la qualità sintetica e decorativa nipponica esercitò sull’immaginario figurativo europeo, dando vita al fenomeno del japonisme. Intorno agli ottant’anni, Hokusai si cimenta nella meticolosa analisi di animali e piante, con una spiccata dovizia di particolari e una cura del dettaglio davvero lenticolare: dimostra notevole maestria nel cogliere le qualità tattili delle forme possenti ma sinuose di draghi, tigri, aquile, associati a significati beneaugurali e religiosi. Del resto, nel suo insieme, l’opera di Hokusai conserva un’aura di mistero, una formidabile immediatezza e un fascino atemporale; aspetti che riflettono la spiritualità sottile e pervasiva dell’artista, magistrale interprete del suo tempo.
‒ Giulia Andioni
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