Gino Rossi, un ribelle a Venezia
Ca’ Pesaro, Venezia ‒ fino al 20 maggio 2018. L’istituzione lagunare racconta una storia che le appartiene, ripercorrendo con una mostra, raccolta e preziosa, le vicende di Gino Rossi. Uno dei giovani talenti ospiti di Ca’ Pesaro nei primi decenni del Novecento, grazie al lascito testamentario di Felicita Bevilacqua La Masa.
Fa risuonare le corde dell’attualità la mostra-tributo che la sede di Ca’ Pesaro dedica a uno dei suoi artisti più impetuosi e, purtroppo, meno ricordati. Le due sale restaurate all’ultimo piano del museo veneziano accolgono una ricca, seppur numericamente minuta, selezione di opere firmate da Gino Rossi (Venezia, 1884 ‒ Treviso, 1947), pittore annoverato fra i “giovani ribelli” che, nel primo Novecento, avevano trovato in Ca’ Pesaro un rifugio e una cassa di risonanza per il proprio talento.
Donato al Comune di Venezia, nel 1898, da Felicita Bevilacqua La Masa, l’edificio che si specchia nel Canal Grande doveva diventare, in linea con il lascito testamentario della lungimirante duchessa, un luogo di promozione e salvaguardia dell’arte moderna e contemporanea, dunque anche, e soprattutto, delle nuove generazioni. Ecco allora che il piano terra e il mezzanino assurgono a scenario ideale per le mostre dell’Opera Bevilacqua La Masa, organizzate a partire dal 1908 sotto la guida di Nino Barbantini, allora direttore, appena 23enne, della Galleria d’Arte Moderna capesarina e segretario dell’Opera Bevilacqua La Masa.
INQUIETUDINE E RIBELLIONE
Giovinezza e desiderio di novità, oltre i limiti ormai logori di un passato ancora recente, sono il trait d’union della compagine che animava un polo creativo in anticipo di un secolo su quelli odierni. Un gruppo di giovani allettati dalla possibilità di mettere alla prova se stessi e la loro epoca, usando come “arma” un linguaggio visivo carico di energia, fatto di pennellate decise, di colori inquieti e di un approccio alla materia scultorea che non accetta le mezze misure. Tutto questo si ritrova nei lavori in mostra, dove le prove pittoriche e grafiche di Gino Rossi affiancano gli interventi dei colleghi Arturo Martini e Umberto Boccioni, partecipi, insieme a Rossi, del clima di rinnovamento e rottura che stava sferzando i retaggi di una Venezia ottocentesca, paludata e in cerca di una nuova identità. È la medesima irrequietezza su cui pongono l’accento le parole di Barbantini, riportate in catalogo da Elisabetta Barisoni, curatrice della rassegna con Luca Massimo Barbero: “Alcuni giovani inquieti, raccolto qui il frutto delle loro opere, celebrano così la loro inquietudine e la loro gioventù. […] Noi siamo stati i primi in Italia che, ordinando esposizioni d’arte, dimostrassero una fiducia assoluta ed esclusiva nei giovani, e che ne custodissero e ne esaltassero ogni ricerca, ogni ribellione, ogni iniziativa”.
GIOVANI TALENTI
Barbantini si fa portatore, al fianco dei giovani artisti, di istanze consapevolmente ribelli e lontane da un solco già tracciato. Istanze che guardano oltreconfine ‒ lo stesso Rossi, prima di figurare nel gruppo degli “inquieti” capesarini, aveva maturato una precocissima formazione oltralpe ‒ e che spingono il gruppo veneziano a cercare nuova ispirazione fuori dal rassicurante perimetro del centro storico cittadino, scegliendo la periferica Burano come dimora carica di input visivi, ricorrenti in numerosi olii di Rossi.
Frutto del dialogo tra la collezione di Ca’ Pesaro e quella della Fondazione Cariverona, la mostra rispolvera e celebra un essenziale capitolo della storia veneziana novecentesca, celebrando l’élan vital giovanile come una risorsa inestimabile, che Venezia, e la contemporaneità in genere, non devono sottovalutare.
‒ Arianna Testino
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