Tra mito, sogno e realtà. Duilio Cambellotti a Roma
Musei di Villa Torlonia, Roma ‒ fino all’11 novembre 2018. La sede capitolina dedica un’ampia monografica a Duilio Cambellotti, poliedrico artista che amava ispirarsi alla cruda realtà e alla memoria dei classici.
A Villa Torlonia Cambellotti – lo sappiamo ‒ è di casa. Se avremo voglia di incontrarlo o, forse, di conoscerlo, ne potremo apprezzare il segno raffinato e visionario nell’eclettico villino liberty chiamato “Casina delle civette”, dove lavorò al seguito di Mastro Picchio, al secolo Cesare Picchiarini, maestro vetraio, per la realizzazione delle preziose vetrate policrome legate a piombo, considerate una delle maggiori attrattive del villino-museo. E oggi, tra i lecci e le conifere ‒ forse in segno di riconoscenza postuma o forse per intercessione di un ispirato e volitivo genius loci ‒ gli viene finalmente dedicata un’ampia mostra monografica sapientemente distribuita tra il neocinquecentesco Casino dei Principi e il valadieriano Casino Nobile.
INTERESSI MOLTEPLICI
Una mostra che, grazie a una dotta quanto didascalica impaginazione, ci rivela, in sintesi, le molte anime visionarie di Duilio Cambellotti (Roma, 1876-1960): il pittore, lo scultore, l’incisore, lo scenografo, il decoratore, l’arredatore, l’artigiano, il grafico, il cartellonista pubblicitario, l’illustratore, il ceramista, il designer, il fotografo, il collezionista. Una molteplicità prismatica di interessi e di passioni costantemente alimentati e sostanziati da una duplice fonte ispirativa: la realtà cruda, arcaica, desolata dell’agro romano e delle paludi pontine che frequentò e amò, e le immagini e le storie senza tempo dei miti greci e latini che si industriò ad attualizzare affrancandole dalle stucchevoli pastoie dell’archeologia (per alcuni decenni curò le scenografie degli spettacoli al teatro greco di Siracusa in collaborazione serrata con l’insigne grecista Ettore Romagnoli).
FIGURE E SPAZIO
Con franco godimento estetico percorriamo e ripercorriamo le sale del museo attratti e insieme confusi dalla varietà delle forme e dei materiali, dal gioco prezioso dei colori, dalla nostalgica impermanenza dei riflessi e delle rifrazioni. Un caleidoscopio di impressioni che toglie il fiato ma che, tuttavia ci concede lo spazio e il tempo per meditare dinanzi ad alcuni manufatti su cui, in particolare, si appunta la nostra attenzione. Seguiamo il tenue fil rouge che accomuna, ad esempio, il Fregio dei cavalli della pianura pontina, il Vasetto del corvo e del cavallo, il Magister equitum, L’avo, Il buttero. Vi possiamo leggere, in filigrana, la partecipazione di Cambellotti al dibattito, innescato dai futuristi – segnatamente dall’amico Boccioni ‒ sulla relazione simbiotica e compenetrante tra le figure e lo spazio in cui sono immerse, sulla costruzione dinamica della realtà oggettuale, sulla traduzione plastica delle forze a essa sottese.
‒ Luigi Capano
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