Il teatro secondo Chagall. A Mantova
I sette teleri realizzati per il Teatro ebraico di Mosca, esposti secondo il display originale. E poi le acqueforti letterarie e una selezione di tele e carte. Il Palazzo della Ragione di Mantova accoglie la mostra su Marc Chagall.
Riaperto dopo un restauro che mette in risalto e fa riscoprire gli affreschi medievali, è un Palazzo della Ragione rinnovato quello che accoglie la mostra mantovana su Marc Chagall (Vitebsk, 1887 ‒ Saint-Paul-de-Vence, 1985). Il fulcro dell’esposizione sono i sette teleri dipinti nel 1920 per il Teatro ebraico da camera di Mosca dal maestro russo. La disposizione delle opere viene ricostruita fedelmente in una stanza che è il culmine della mostra: al posto del palcoscenico, un’apertura che mette in dialogo le opere di Chagall con gli affreschi del Palazzo. Ma sono protagoniste anche le acqueforti “letterarie” (Le anime morte di Gogol’, la Bibbia, le favole di La Fontaine) e una selezione di tele e carte. Ne abbiamo parlato con la curatrice della mostra, Gabriella Di Milia.
Partiamo dal fulcro della mostra, i teleri per il Teatro ebraico.
Chagall li realizzò nel 1920 a Mosca. Nel 1910 era partito per Parigi, dove incontrò il Cubismo nel momento di massima affermazione. Come si vede nei teleri, Chagall adotta la libertà di mezzi del Cubismo: la scomposizione dei piani ma soprattutto l’uso dei colori simultanei di Robert e Sonia Delaunay lo colpiscono, ma vengono adattati alla sua visionarietà in modo unico e personale.
Un linguaggio che allude anche al vissuto dell’artista.
Come ha poi riconosciuto Breton, Chagall ha introdotto la metafora nella pittura. I suoi elementi ricorrenti sono quelli che hanno colpito la sua sensibilità durante l’infanzia e la giovinezza. Nelle sue opere c’è tutto il quotidiano di una piccola città come la sua Vitebsk, sempre rivisitata da suggestioni metaforiche. Questo significa che la superficie di ogni oggetto viene scomposta in maniera cubista non per creare un effetto di sintesi come fanno i cubisti o di movimento come i futuristi, ma per creare associazioni insolite, ambiguità che animano le cose e le caricano di un valore psichico.
In mostra, ai teleri si affiancano altri cicli di opere, come un’introduzione al colpo di scena finale.
Esistono quattro grandi composizioni che raffigurano Chagall e Bella: una di queste (Sulla città, olio su tela del 1914-18) è esposta in mostra. A mio parere, un’altra opera molto interessante tra quelle esposte è quella che viene chiamata “bozzetto” per La pioggia, quadro che è alla Collezione Guggenheim di Venezia. In realtà la carta che esponiamo può essere considerata non un bozzetto ma una variazione sul tema. Un aggancio al Festival della Letteratura, che si svolge in contemporanea all’apertura della mostra, è poi la serie di testimonianze raccolte nel catalogo, alcune tradotte per la prima volta. Non solo di poeti come Cendrars, Apollinaire, Aragon, ma anche di critici come Bachelard.
Il legame con la letteratura è esplorato ampiamente anche nell’esposizione.
Chagall ha attirato molto l’attenzione di poeti e critici militanti. Da parte sua, è stato colpito da alcune opere letterarie per le quali ha realizzato illustrazioni sotto forma di acqueforti. La Galleria Statale Tret’jakov di Mosca ci ha prestato, tra le molte altre opere, la serie sulle Anime morte. In una di queste Chagall si è rappresentato accanto a Gogol’, dimostrando una piena identificazione con lui. Gogol’ non è il realista che molti pensano, ma, come hanno scritto sia l’autore di un’insuperata storia della letteratura russa, Dmitrij Mirskij, sia Nabokov, è stato un campione di fantasia creativa.
Nel suo testo in catalogo lei sottolinea la componente di visionarietà dell’opera di Chagall. Che spazio c’è nella sua poetica per la testimonianza? Quale il rapporto con la realtà e gli avvenimenti storici?
Ritengo che i dipinti per le pareti del Teatro ebraico siano capolavori del Novecento, ma anche il momento di massima intensità creativa di Chagall, proprio perché i temi della memoria vengono accantonati per rappresentare il presente, il grande subbuglio che aveva portato la rivoluzione, ovvero violenza ma anche sogni impossibili, nei quali Chagall in un primo momento crede, per poi abbandonare la Russia quando si rende conto che il suo tipo di arte non verrà mai accettato.
E qual è il suo rapporto col concetto di arte totale? Abbiamo visto i contatti col teatro e con la letteratura…
In quattro dei quadri per il Teatro ebraico sono rappresentate proprio alcune delle arti: musica, danza, teatro e letteratura. Chagall realizzò anche scene e costumi. Addirittura il Teatro ebraico da camera, dopo il trasferimento da Pietrogrado a Mosca, per la serata inaugurale aveva previsto tre spettacoli con le scene e i costumi di Chagall. Anche per povertà di mezzi, si limitò a dipingere i vestiti. Per un’altra opera aveva invece previsto di dipingere di verde e azzurro la faccia degli attori. C’è dunque un’idea di “chagallizzare” non solo la platea per la quale realizza i teleri, ma anche lo spettacolo. Teatralizzare la vita, insomma.
Il titolo della mostra è Come nella pittura, così nella poesia: colpisce l’utilizzo di un “motto” così importante per la storia dell’arte applicato a un pittore novecentesco.
Si vuole sottolineare che Chagall è uno degli artisti, al pari di Picasso, che ha suscitato il maggior numero di testimonianze da parte di scrittori e letterati. La sua pittura è come uno stimolo a fantasticare, invito rivolto anche a chi andrà a vedere la mostra, ovvero non ricercare tanto dei riferimenti alla storia o ai canoni della pittura ebraica come spesso si fa. Chagall non sarebbe contento di esser definito il più grande artista ebreo, ma il maggiore artista in assoluto. Il titolo del mio testo è invece Chagall la festa il teatro la rivoluzione: una vertigine da perdere la testa.
A cosa si riferisce?
Il riferimento è a Introduzione al teatro ebraico, il dipinto più grande (quasi 3 metri per 8). Vi vengono rappresentati a grandezza naturale tutti i personaggi che faranno parte del rinnovamento del teatro ebraico. C’è anche Chagall portato in braccio dal critico Efros, che presentò Chagall al regista del Teatro. Il teatro è visto dunque come una rivoluzione e una festa; sembra di percepire il ritmo della musica indiavolata di un’orchestra Klezmer. Uno degli attori spicca un salto e tiene la zampa a una capra; un musicista con berretto a sonagli ha la testa che si distacca dal corpo e il violino si spacca a metà. Si ha una sensazione di vortice e di forze universali che invadono la scena. I personaggi sono rappresentati in condizioni bizzarre. Un segno che il nuovo teatro ebraico sarà un teatro che travolge e riattualizza le tradizioni.
Chagall è un autore da rileggere? Subisce una banalizzazione nell’immaginario collettivo, proprio per la sua dimensione sognante?
Abbiamo citato i quattro quadri sulle arti. Sono un buon esempio di come i quadri di Chagall vadano analizzati nella loro composizione generale ma anche in ogni minimo dettaglio. Ci sono particolari sia tecnici che figurativi straordinari. Ad esempio in mostra si ritrova il frottage di un merletto, sia nelle illustrazioni della Bibbia che nel dipinto Amore sulla scena. E poi nelle opere del 1920 si accentua l’utilizzo di elementi astratti, probabilmente per la rivalità che si scatenò a Vitebsk.
Chi erano i rivali?
Nella locale Accademia insegnavano Chagall, El Lissitzky, Malevič…. Quest’ultimo conquista subito gli allievi con il suo Suprematismo e Chagall dà le dimissioni e parte per Mosca. I particolari di Chagall sono da guardare con la massima attenzione; vi si riscontrano geometrie che derivano dal Cubismo, magnifici elementi decorativi come i pantaloni a losanghe del quadro Il teatro.
Tutto ciò vale anche per i decenni successivi di Chagall?
In effetti, il periodo rappresentato in mostra è forse un culmine per Chagall. Il momento della massima partecipazione all’attualità delle Avanguardie. La cosa più ammirevole delle sue opere di questo periodo è proprio la capacità di tenere insieme in una composizione molto espressiva e inventiva elementi disparati, sia relativi ai procedimenti artistici sia costitutivi della scena.
‒ Stefano Castelli
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #12
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