Canova e l’America
L’unica opera commissionata ad Antonio Canova dagli Stati Uniti è al centro della mostra allestita al museo di Possagno. Fra storia e presente.
George Washington, Thomas Jefferson e Antonio Canova. È questa la triangolazione alla base della rassegna già allestita alla Frick Collection di New York e presto ospite della Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno. Ne descrivono i dettagli i curatori, Mario Guderzo, direttore del museo veneto, e Xavier F. Salomon, chief curator della Frick Collection.
Sono trascorsi duecento anni dalla realizzazione del modello per il monumento a George Washington da parte di Antonio Canova. La storia di questa impresa è al centro della mostra a Possagno. Ripercorriamo brevemente le vicende legate alaa commissione?
Xavier F. Salomon: Questa scultura è l’unica opera commissionata ad Antonio Canova dagli Stati Uniti. Ordinata nel 1816, scolpita tra il 1817 e il 1820 e consegnata nel 1821, la statua era destinata alla State House di Raleigh, in North Carolina. Purtroppo sopravvisse solo dieci anni. Nel 1831 venne distrutta da un incendio.
Mario Guderzo: Fu Thomas Jefferson a scegliere Canova e a sostenere che Washington dovesse essere rappresentato come un soldato romano. Infatti Canova lo raffigurò seduto, intento a scrivere la Costituzione e, per farlo, si ispirò alla scultura di Claudio Augusto, ritrovata a Ercolano durante gli scavi e oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il modello, fortunatamente conservato al Museo di Possagno, servì a Canova per la produzione del marmo, poi inviato negli Stati Uniti.
Che tipo di rapporto si instaurò tra Jefferson e Canova?
X. S.: Jefferson e Canova non si conobbero mai. Jefferson non aveva mai visto un’opera di Canova. L’ex presidente conosceva lo scultore italiano solo per fama. È quindi particolarmente interessante che Jefferson abbia proposto ai suoi connazionali uno scultore che non aveva mai conosciuto e di cui non aveva mai visto un’opera. Questo testimonia la notorietà di Canova all’epoca.
M. G.: Jefferson sapeva benissimo chi era Canova e sapeva anche quanto avesse fatto per mettere in luce un protagonista della storia come Napoleone, nonostante i loro contrasti. Jefferson era consapevole che avrebbe agito allo stesso modo con Washington, restituendone la grandezza.
Il monumento canoviano è andato perduto. Come avete strutturato la mostra “in absentia” del pezzo forte?
X. S.: Siamo riusciti a evocare il “fantasma” della scultura perduta con la presentazione di tutti i materiali lavorativi di Canova, dai disegni ai bozzetti al modello originale a grandezza naturale.
M. G.: Tendo a valorizzare quanto presente nell’istituzione che dirigo ‒ il più grande museo di opere canoviane al mondo ‒ concentrandomi via via su opere diverse. Stavolta lo sguardo è rivolta a George Washington, ma in generale questa strategia invoglia il pubblico a tornare al museo e ad approfondire la conoscenza dei singoli lavori.
La rassegna è già stata ospite della Frick Collection a New York. Come si è sviluppata questa collaborazione? Avrà un seguito?
X. S.: La collaborazione tra New York e Possagno è nata grazie al lavoro del presidente (Franca Coin) e del direttore (Mario Guderzo) del Museo di Possagno. Sono stati loro ad allacciare un rapporto con la Frick Collection che si è dimostrato molto proficuo. Senz’altro ci saranno occasioni future di collaborazione tra Possagno e l’America. Antonio Canova è stato il primo grande scultore internazionale. È quindi giusto che quello di Possagno sia un museo con forti legami oltre confine.
M. G.: È stata un’esperienza importante anche dal punto di vista culturale e strategico, perché abbiamo messo in atto delle operazioni di movimentazione delle opere che condivideremo alla fiera dei registrar di Londra a metà novembre.
Quali riscontri avete ricevuto dal pubblico americano?
X. S.: La mostra ha riscontrato un enorme successo a New York. È stato un momento di riscoperta per il pubblico americano.
La Gypsotheca di Possagno è stata oggetto di un recente restauro. Quali sono gli esiti?
M. G.: Siamo intervenuti, per ragioni di sicurezza e antisismiche, sul tetto del museo, soprattutto nel punto colpito per errore da una granata di un aereo francese durante la Prima Guerra Mondiale. Per farlo abbiamo dovuto togliere i bassorilievi collocati nella parte alta del museo e adesso stiamo collaborando con alcune associazioni per poterli restaurare e ricollocare al loro posto, piano piano.
‒ Arianna Testino
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #13
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati