Giacomo Balla e Villa Borghese. A Roma
Museo Carlo Bilotti ‒ Aranciera di Villa Borghese, Roma ‒ fino al 17 febbraio 2019. Il legame tra Balla e Villa Borghese rivive attraverso l’esposizione allestita nella sede romana.
La mostra riunisce a Roma più di trenta opere di Giacomo Balla (Torino, 1871 ‒ Roma, 1958) dedicate ai paesaggi e agli scorci di Villa Borghese. La rassegna, curata da Elena Gigli, studiosa impegnata da anni nella catalogazione dell’opera di Balla, è prodotta da The Boga Foundation, che realizza “mostre, iniziative ed eventi culturali”, spiega Marco De Crescenzo, curatore presso la Fondazione, “il cui scopo è salvaguardare la collezione Boga, composta da opere di Fontana, de Chirico, Giacometti, e da quelle di Balla esposte in mostra, ma anche promuovere progetti culturali, frutto di una ricerca scientifica, di artisti famosi ed emergenti”.
LA STORIA DI BALLA
Giacomo Balla si trasferisce a Roma con la madre Lucia Giannotti nel 1895, allontanandosi dalla sua città natale, Torino. Per il primo anno è ospite dello zio paterno Gaspare Marchionne Balla, residente al Quirinale in quanto Guardiacaccia di Sua Maestà il Re. Quando poi si trasferisce in via Piemonte 119, entra in contatto con Alessandro Marcucci, Duilio Cambellotti e Serafino Macchiati. Conosce così Elisa Marcucci, sua futura moglie, che sposa in Campidoglio nel 1904.
I coniugi Balla vivono nel quartiere Parioli, in un convento situato tra via Parioli (oggi via Paisiello) e via Nicolò Porpora. All’interno del fabbricato di proprietà dei Sebastiani, grazie all’interessamento del sindaco Nathan, la famiglia Balla dispone di un appartamento con un lungo balcone che dà direttamente sugli spazi verdi di Villa Borghese. È da questo balcone che sono state realizzate molte delle opere in mostra come Maggio, che ritrae la moglie appoggiata alla ringhiera, ma anche Bambina che corre sul balcone, conservata al Museo del Novecento a Milano, che raffigura sua figlia in movimento.
LA NATURA DI VILLA BORGHESE
Balla era solito passeggiare per Villa Borghese, scoprire luoghi nascosti e scorci che ritornano nelle diverse opere, come quello su San Pietro, elemento che si ritrova, ad esempio, in Villa Borghese al balcone. Lavoro in cui è evidente “la configurazione naturalistica”, contrapposta a Germogli primaverili che, secondo la curatrice, “le sciabolate di giallo, viola, e verde rendono un’opera in un certo senso un astratta”.
In mostra sono presenti sei scatti realizzati da Mario Ceppi che hanno “lo stesso taglio fotografico delle opere realizzate da Giacomo Balla”, spiega la Gigli. “Siamo andati in giro per Villa Borghese per ritrovare le stesse costruzioni, gli stessi momenti, gli stessi alberi che l’artista ha ritratto, come quando un mese fa al Museo Pietro Canonica abbiamo riconosciuto lo stesso albero presente nei pastelli esposti”.
I RITRATTI E I PASTELLI A CERA
“Quando Balla arriva a Roma, cerca di inserirsi nella società romana anche attraverso i ritratti”, prosegue la curatrice, “ritrae la dama di compagnia della regina, il sindaco Nathan gli commissiona il suo ritratto per il Gabinetto, quindi riesce a entrare in un circolo di committenze importanti che gli commissiona ritratti. Anche nei ritratti troviamo comunque la sua novità, la sua luce, il suo movimento, la sua introspezione psicologica, che studia prima su stesso realizzando questi bellissimi autoritratti, come quello presente in mostra del 1895, fino all’ultimo che farà nel 1953”. Nell’Autoritratto notturno la luce colpisce, quasi abbagliando, solo un lato del viso, mettendo così in risalto l’occhio chiaro.
Sono presenti perlopiù opere su carta, ottenute con i pastelli a cera, che Balla era solito “graffiare con il retro del pennello o con il temperino”, spiega la Gigli. “Se si osserva ‘Fontana a Villa Borghese’ si possono vedere dei graffi nel punto in cui cade l’acqua, creati togliendo il pastello in eccesso, per tirare fuori la luce”.
‒ Ilaria Bulgarelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati