Sulle tracce di Carlo Carrà. A Milano
130 opere in sette sezioni, provenienti da musei e collezioni sia italiane che estere, compongono la retrospettiva più ampia mai dedicata a Carlo Carrà.
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Percorrendo le sale di Palazzo Reale, salta agli occhi come quello di Carlo Carrà (Quargnento, 1881 – Milano, 1966) sia uno stile tutt’altro che unitario, con decise oscillazioni fra avanguardia e tradizione. Sul catalogo della mostra del 1962, curata da Roberto Longhi nello stesso luogo, Carrà scriveva: “La mia pittura è fatta di elementi variabili e di elementi costanti. Fra gli elementi variabili si possono includere quelli che riguardano i princìpi teorici e le idee estetiche. Fra gli elementi costanti si pongono quelli che riguardano la costruzione del quadro”. E prosegue: “Ormai da tempo [ho] superata l’antitesi di modernità e di tradizione creata in tutti i paesi occidentali dagli artisti dell’Ottocento e portata all’esasperazione nei periodi successivi che, grosso modo, si chiusero con la prima guerra mondiale”. Per concludere: “Se poi le mie parole a qualcuno sembrassero poco singolari, dirò che non mi sono affatto proposto di fare il singolare. Di gente singolare è pieno il mondo”.
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Carlo Carrà, Gentiluomo ubriaco, 1916. Collezione privata. Courtesy Palazzo Reale, Milano
DA RIVOLUZIONARIO A POMPIERE
La parabola comincia con un Carrà anarchico e libertario, carico di retorica (Allegoria del lavoro, 1905) e dalle ottime prove divisioniste (Uscita dal teatro, 1909-10 – lo spalatore di neve acquistato dal banchiere Rothschild…). Attraversa il Futurismo con capolavori come Ciò che mi ha detto il tram (1911) e prove poetico-situazionistiche (Rapporto di un nottambulo milanese, 1914). Ma poi l’interventismo di Guerrapittura (1915) si scontra con la realtà: subentra allora la stralunata Musa metafisica (1917), ma per pochi anni, perché infine prevalgono il ritorno all’ordine (Il pino sul mare, 1921) e i valori plastici (La casa dell’amore, 1922), con l’eco dei Primitivi italiani che accomuna la sensibilità di Carrà a quella di Balthus.
E la storia di fatto si chiude, nel campo del paesaggio ancor più che in quello delle figure; solo di tanto in tanto riemerge un anelito incendiario, dove meno ce lo si aspetterebbe (Cavallo sulla spiaggia (Cavallino), 1952).
LEGGERE CARRÀ
Catalogo importante (attenzione ai colori: scurissimi rispetto alle opere!), ma più prezioso ancora leggere direttamente Carrà: procuratevi soprattutto Pittura Metafisica (1919), che contiene i saggi su Giotto e Paolo Uccello, e quello straordinario affresco che è La mia vita (1943).
‒ Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #13
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