Il piccolo segreto di Vincent van Gogh. Ritrovato un plico nella sua casa di Londra
Ben nascosto, nella casa londinese che amò, un plico salta fuori dal passato di Vincent van Gogh. E risveglia le memorie di un periodo intenso, fatto di studio, di fervore religioso, dei primi approcci all’arte e del primo amore.
Ci sono casi, esperienze, combinazioni, che orientano in modo decisivo il corso dell’esistenza. Al netto del talento e delle vocazioni. Uno come Vincent van Gogh, probabilmente, non sarebbe diventato l’artista che è stato, se non avesse avuto modo di entrare in contatto con l’ambiente dell’arte e della grande pittura europea. Andava male a scuola, il giovane Vincent. E a 16 anni lo zio Cent propose alla famiglia, piuttosto scoraggiata, di mandarlo a lavorare presso un autorevole mercante ed editore d’arte di sua conoscenza: Goupil & Cie, con base a L’Aia e con diverse filiali in Europa. Solo il caso volle che il ragazzo finisse a dare una mano a un gallerista, invece che a un sarto o a un fornaio. Eppure funzionò. Cominciò di buona lena e dimostrò una certa, diligente curiosità. Tanto che dopo quattro anni di pratica venne spedito nella prestigiosa sede di Londra.
LA CASA DI HACKFORD ROAD
Era il giugno del 1873. Per lui, già sedotto dal mondo delle Belle Arti, iniziava una stagione felice, di intensa formazione: lunghe passeggiate, tra le strade affollate e i sontuosi parchi cittadini, visite alle gallerie e ai musei, su tutti la Royal Academy, la Dulwich Gallery e il British Museum, e poi l’innamoramento per gli scrittori e i poeti inglesi, ma anche per autori di grafiche e illustrazioni, collezionate con dedizione.
“Se non avesse mai lavorato in una galleria, credo con poca probabilità sarebbe diventato un artista“: sono parole di Martin Bailey, tra i massimi esperti di Van Gogh, autore del saggio “Notte stellata: Van Gogh al manicomio” (2018), tra i primi a visionare il piccolo tesoro appena ritrovato a Londra, in quella che fu la casa simbolo del periodo londinese dell’artista. Tutto iniziò in quei mesi, in quella città, in quel fatidico anno che gli cambiò la vita, irrobustendo la sua passione per l’arte, intensificando le sue attività culturali, avvicinandolo alla religione e anche, purtroppo, suscitando i primi tormenti interiori.
L’appartamento in cui si trasferì nell’agosto nel 1873 – dopo aver trascorso i primi due mesi in una pensione con diversi coinquilini, a un indirizzo non noto – si trovava in uno stabile a due piani, in stile vittoriano, all’87 di Hackford Road, nei pressi di Brixton. Era un ambiente arioso, ricercato, accogliente; ed erano mesi di grande elettricità: “Le cose stanno andando bene per me qui”, scriveva al fratello Teho, “ho una casa meravigliosa ed è un grande piacere osservare Londra e lo stile di vita inglese, e gli inglesi stessi; e ho anche natura, arte e poesia… se questo non è abbastanza, cosa lo è?”
Un targa in ceramica blu, incastonata sulla facciata chiara, ne ha fatto un landmark subito riconoscibile: non un casa museo visitabile, ma comunque una meta per feticisti in cerca di suggestioni biografiche e di vecchie storie da immaginare. Eppure, all’interno, alcune piccole tracce preziose c’erano davvero. Rinvenute oggi, casualmente: i proprietari decisero di vendere la casa nel 2012, dopo 65 anni, affidandola all’agenzia immobiliare Savills per la cifra di 475.000 sterline. Era rimasta integra, nonostante i bombardamenti della Seconda Guerra mondiale, ma necessitava di alcuni interventi di ristrutturazione. Come riporta Artnet, gli attuali proprietari, l’ex violinista Jian “James” Wang e sua moglie, Alice Childs, sperano di trasformarla in una residenza per artisti cinesi. Intanto la figlia Livia, architetto, sta supervisionando i lavori.
IL PLICO NASCOSTO E L’AMORE PER EUGENIE
Partiti di recente i cantieri, la sorpresa è saltata fuori dal nascondiglio più insospettabile: ci sono voluti 146 anni per scardinare le assi del pavimento in legno e scovarvi un plico con delle carte ripiegate. Si tratta di una polizza assicurativa, di un libretto di inni e preghiere stampato nel 1867 e di alcuni pezzi di carta con dei fiori dipinti ad acquerello. L’innario, antecedente all’arrivo di Van Gogh a Londra, gli fu forse prestato dalla padrona di casa, la vedova Ursula Loyer, nel periodo in cui il ragazzo – figlio di un pastore protestante – si accostava con zelo al Cristianesimo, studiando metodicamente la Bibbia, leggendo testi teologici, inserendo spesso nelle sue lettere citazioni religiose e compiendo un percorso spirituale profondo. Quanto agli schizzi floreali, a detta di Bailey, non sembrerebbero suoi: il confronto con altri disegni acerbi dell’epoca non evidenzia alcun tipo di affinità stilistica. L’ipotesi è che si trattasse di disegni eseguiti da Eugenie Loyer, la figlia diciannovenne di Ursula. Forse un dono, gelosamente custodito?
E qui si apre un’altra parentesi importante. Della graziosa Eugenie, occhi azzurri e boccoli biondi, Vincent si era fortemente invaghito. Un’attrazione fatale, in una fase di grande intensità e spensieratezza: “Ho una vita ricca qui” – scriveva ancora al fratello – “A volte inizio a credere che sto gradualmente iniziando a trasformarmi in vero cosmopolita, che significa non un olandese, un inglese o un francese, ma semplicemente un uomo. Con il mondo come mia madrepatria … “. Era tutta lì, l’euforia dei vent’anni. La sensazione di avere in mano la propria vita, lasciandosi travolgere dall’ebbrezza dell’esistenza, con le sue mille seduzioni, le scoperte, le conquiste, il fuoco per l’arte, per Dio e per la bellezza. E se l’affetto per la ragazzina fu in principio un ulteriore iniezione di entusiasmo, presto si trasformò nell’origine di una bruciante delusione. Trovato il coraggio di dichiararsi, van Gogh ricevette in risposta un secco no: Eugenie non solo non ricambiava, ma era anche impegnata con un altro uomo, un precedente inquilino della villetta.
Furono giorni di tristezza, trasformatasi presto in ossessione e poi in depressione. Pare che l’insistenza nei confronti della donna si fece a un certo punto molesta, al punto che la sorella minore Anna, raggiuntolo a Londra, dovette lasciare con lui Hackford Road per trovare una nuova sistemazione; si spostarono di pochi chilometri, al 395 di Kennington Road, presso l’Ivy Cottage dei coniugi Parker. Nel 1875 Goupils trasferì Vincent a Parigi, dove continuò a scontare la sua profonda, subdola disperazione, per essere infine licenziato nel 1876. Tornò a Londra subito dopo, sperando forse di ritrovarvi il suo amore mancato o di riassaporare quella joie de vivre dei tempi lieti, quando tutto sembrava facile, travolgente, gonfio di speranze. Ormai senza un soldo, tentò la carriera d’insegnante di religione in un collegio, per poi tornare dai genitori, a l’Aja.
Fu nel nome di Dio e della pittura che trovò il modo per trasformare il suo male oscuro, facendone materie d’esistenza nuova. Studiò teologia, si donò all’arte con sempre maggiore convinzione e – sostenuto anche da Theo – a quest’ultima decise infine di dedicarsi, senza più tregua né esitazione.
IL DISEGNO RITROVATO. OMAGGIO ALLA VILLETTA DI LONDRA
Il ricordo dell’amata casa nel sud di Londra era ancora fresco, ma ormai archiviato come uno tra i capitoli chiave di un’esistenza nomade, complessa, tragicamente fuori dagli schemi. Di quel posto resta l’immagine sbiadita, in un disegno a matita a gessetto su carta, macchiato di tè o caffè, scovato nel 1973 dal giornalista Ken Wilkie, a casa della nipote di Eugenie, Kathleen Maynard: riposto dentro una scatola zeppa di fotografie dei Loyer e della loro villetta londinese, era stato realizzato – come ricordava la donna – da un ex inquilino della bisnonna Ursula. Quell’inquilino, come confermato poi dalle expertise, era proprio Vincent van Gogh. Che un’altra traccia di quei giorni aveva custodito, chissà perché, sotto la pavimentazione del suo appartamento. E chissà se quei fiori ad acquerello non furono davvero un pegno, un regalo affettuoso, magari scambiato per amore. Chissà se li schizzò Eugenie e se li mise fra sue le mani, oppure se – abbandonati in un angolo della casa, strappati, destinati ai rifiuti – vennero da lui raccolti e conservati. Centocinquant’anni dopo quella storia continua a echeggiare, a farsi scrittura biografica e sentimentale.
– Helga Marsala
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