I sublimi selfie del Novecento. A Roma
Musia, Roma ‒ fino al 14 luglio 2019. Ritratti e autoritratti novecenteschi dominano la mostra allestita negli spazi romani di Musia. Gettando nuova luce sulla collezione Jacorossi.
“Il sublime oggi per me è nei volti più che nelle opere”. La citazione è di Alberto Giacometti e sovrasta la parete dove è esposta l’opera di Francesco Trombadori, Senza titolo, icona della mostra La moltitudine che è in ognuno di noi.
Allestita nello spazio Musia, vicino a Campo dei Fiori a Roma, l’esposizione raccoglie autoritratti e ritratti, dipinti e scolpiti, provenienti dalla collezione Jacorossi.
Il sublime dei volti novecenteschi si è spinto alle estreme conseguenze fino ai giorni nostri; l’autoritratto e il ritratto di oggi si scattano con la telecamera, col sorriso stampato, più volte al giorno, cogliendo l’intimità del quotidiano, meno spesso l’anima del personaggio.
I VOLTI DEL SECOLO BREVE
Tutti estremamente seri, uomini, donne e perfino i bambini, i volti ritratti nel Novecento interpretano l’essenza del Secolo Breve: si afferma sempre di più l’individualità anche grazie alla psicanalisi, ma spesso c’è poco da sorridere. Le guerre e le dittature si susseguono, con il loro corredo di celebrazione dell’uomo forte; allo stesso tempo ci si appassiona al singolo individuo e al rispecchiamento con l’altro.
Giorgio de Chirico si mette in posa indossando il suo scudo metafisico e sfida la morte (Autoritratto con corazza, 1947), come gli ricorda suo fratello Alberto Savinio nella citazione impressa nella sala delle sculture: per gli antichi, fermare in un’immagine l’essenza del personaggio voleva dire la fine della vita.
Realizzati a soli due anni di distanza l’uno dall’altro, il ritratto e l’autoritratto di Giacomo Balla sono profondamenti diversi: un delicato volto femminile divisionista il primo (Ritratto di luce, 1925), un’esplosione di colori astratta con tanto di cornice incorporata il secondo (Autoritratto tricolore,1927).
Benedetta Cappa, pittrice e moglie di Filippo Tommaso Marinetti, è ritratta, seducente e androgina, avvolta nel colore dell’aeropittura futurista, da Alfredo Ambrosi Gauro (Ritratto di Benedetta, 1934).
Non conosciamo il nome del soggetto, ma l’introspezione psicologica al femminile domina l’immagine nel Ritratto di donna (1916) di Arturo Noci, esponente della Secessione romana.
SELFIE TRIDIMENSIONALI
Realistici e inquietanti, i mezzibusti e le teste scolpite dei primi del Novecento hanno lo sguardo lontano di chi punta al sogno e al futuro. Due esempi apparentemente antitetici, che però mostrano queste caratteristiche, sono il Ritratto di Gerarca (Anni Trenta) attribuito a Domenico Raelli, lo scultore lodato da Carlo Carrà per il suo stile “austero e gagliardo”, e il Busto di fanciulla (1930) di Marino Mazzacurati, che si rivolge alla tradizione e al passato dell’arte Italiana.
‒ Letizia Riccio
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