Modernità dell’antico. Savinio e de Chirico a confronto
Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo (PR) ‒ fino al 30 giugno 2019. Ritratti, nature morte, sfondi urbani metafisici, paesaggi mitologici, bozzetti teatrali mettono a confronto la pittura dei fratelli Dioscuri, in una mostra curata da Alice Ensabella e Stefano Roffi, che ricostruisce i loro percorsi artistici. Sospesa fra cielo e terra, Eros e Thanatos, pittura e poesia, fiaba e realtà.
Nati all’ombra di templi antichi, colline assolate e rocciose coperte di ulivi, sullo sfondo di un mare placido e azzurrissimo, Alberto Savinio e Giorgio de Chirico hanno arricchito la pittura italiana del Novecento di una struggente e drammatica vena poetica.
La loro condizione di migranti farà sì che la loro pittura porti in sé l’idea del viaggio, del mistero del distacco, della struggente commozione del ritorno, cui si affiancano gli interrogativi sulla condizione umana, nel drammatico confronto con l’irrompente modernità. Novelli Ulisse, ma anche Ettore e Achille, Savinio e de Chirico viaggiano (anche con la mente) e combattono, si interrogano sui destini dell’uomo, e, nietzschianamente, contemplano il proprio Io; differentemente che in Foscolo, gli eroi dei due pittori (talvolta con sembianze zoomorfe), non sono belli né di fama né di sventura, bensì sono immersi nell’angoscia per un impossibile ritorno al passato, così come per le contraddizioni della modernità; approcciandosi al mito, facendone il fulcro delle loro pitture, Savinio e de Chirico lo concepiscono alla stregua del filologo e storico delle religioni Károly Kerényi, per il quale il mito è una realtà umana e cosmica insieme. Radice cosmica che la materializzazione del sentire della società stava sempre più erodendo.
LA CITTÀ
Con Torino e Ferrara, Firenze rivendica di essere luogo di nascita della pittura metafisica, ma è anche lo scenario della vita moderna. La città di de Chirico, che classicamente ne predilige le piazze, è assolata, solitaria, idealizzata, sospesa fra antico e moderno, e ancora riecheggia la malinconia di Nietzsche intesa come l’accesso privilegiato alla memoria e all’interiorità. La pittura metafisica di de Chirico traspone sulla tela questo sentire, si fa memoria delle città dell’infanzia e insieme si riallaccia alle antiche agorà di ellenica memoria, dando corpo a una moderna mitologia. Differente l’approccio, come ben documenta la mostra, di Savinio, la cui avvolgente pittura venata di Surrealismo vanta un più gentile e avvolgente uso del colore, che nasconde però un’inquietante atmosfera simbolista, legata a fantasmagorie mitologiche su cui aleggia la morte e la distruzione. Restano comunque i fondamentali concettuali della Metafisica, con lo spazio sospeso nel tempo, luogo di attesa e speranza, che nella composizione ricorda le isole di Arnold Böcklin.
RIGORE FORMALE E MUSICALITÀ
I due percorsi pittorici, come una partitura musicale, si incontrano e si distaccano, dialogano a distanza fra le pieghe di un pensiero comune affrontato partendo dalla radice della Metafisica, e che poi si dipana fra reminiscenze greche, ritratti, figure mitologiche. Fondamentalmente, a eccezione della Metafisica, l’impronta di de Chirico è quella di un’interpretazione romantica della classicità, che emerge in particolare nella ritrattistica, dove predomina un certo realismo solenne, derivato dall’afflato nordeuropeo, e dal forte impatto emotivo; colori caldi ma scuri, vicini alla tavolozza di Gustav Klimt.
Più caleidoscopico, artisticamente parlando, del fratello, Savinio fu dapprima compositore, e di seguito poeta, romanziere, drammaturgo. Per questa ragione la sua pittura risente in maniera sensibile di suggestioni da altre discipline: il colore è per lui un flusso sonoro, il suo Surrealismo zoomorfo ricorda i versi di Apollinaire, e la sua fantasia pittorica sembra tracciare il mondo di Nivasio Dolcemare (di cui narrò l’immaginaria infanzia); perciò, nei ritratti, Savinio si discosta dal fratello, optando per raffigurazioni a carattere surrealista, con amara ironia e in polemica con le avanguardie astratte, contro l’abbandono del ritratto e il timore della verità di cui è portatore. Nel prosieguo della carriera, i suoi ritratti assumeranno sì caratteristiche antropomorfe compiute, ma senza nulla concedere alla ricerca estetica. C’è invece comunanza nel prendere Böcklin come maestro per lo sguardo angoscioso verso l’antico, mentre il Picasso delle bagnanti lo si ritrova in numerosi dettagli delle tele di Savinio.
IL TEATRO
Terreno comune ai due artisti il mondo del teatro, per il quale realizzarono centinaia di bozzetti scenici, de Chirico prendendo a modello il Cinquecento veneto, in particolare Paolo Veronese, Savinio ispirandosi alle avanguardie, in particolare al Cubismo. Entrambi furono anche costumisti, e mentre il primo si ispirò alla classicità, il caleidoscopico fratello guardava alle novità della moda androgina della metà degli anni Cinquanta. Una sezione che chiude la mostra con un tripudio di colori, sintetizzando al meglio i percorsi dei due Dioscuri: più solenne e accademico de Chirico, più sperimentale Savinio, legato all’inconscio surrealista, ma entrambi comunque vocati verso una pittura “altra”, non etichettabile, personalissima via alla ricerca di (im)possibili risposte.
‒ Niccolò Lucarelli
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