Fra Africa e Versilia. Moses Levy a Viareggio
Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Lorenzo Viani, Viareggio ‒ fino al 1° settembre. Viareggio riscopre, in 115 opere, 36 delle quali inedite, un artista cosmopolita, mondano e raffinato, che, dalle spiagge della Versilia al Nord Africa, passando per la Spagna, ha saputo catturare sulla tela l’irrequietezza di un secolo.
Le sue origini ebraiche a metà fra askenazita e sefardita (il padre era cittadino inglese originario di Gibilterra, la madre un’ebrea italiana), lasciarono in lui un’impronta di nomadismo a maggioranza levantina, che si riscontra in una vera e propria fascinazione per la luce, il mare, e quel lembo d’Europa più legato alla cultura araba, ovvero la Penisola Iberica. Moses Levy (Tunisi, 1885 ‒ Viareggio, 1968) è stato un pittore che, pur mantenendosi realista e figurativo, ha saputo essere moderno. Trasferitosi alla fine del secolo in Toscana, nel pisano, si formò prima all’Istituto d’Arte di Lucca, e successivamente a Firenze presso Giovani Fattori. Nonostante le origini straniere, assorbì nella sua arte anche le radici toscane, che emergono in particolare nella produzione grafica degli esordi; contadini dal volto grave e segnato dal tempo, scorci di campagna accarezzata dal vento, mandrie di buoi condotte lungo fangosi sentieri campestri, case e borghi colonici immersi nel verde. Accanto a questo “Strapaese pascoliano”, fatto di fatica, parsimonia e semplicità, Levy pone l’Africa dei suoi ricordi, fatta di donne misteriose e sensuali avvolte in lunghi caftani, i cui volti ricordano di volta in volta le “dee” di Modigliani, i ghigni espressionisti di Otto Dix o le maschere tribali di Picasso. Prove giovanili che dimostrano da subito l’interesse di Levy per le varie correnti moderniste europee, da lui collocate sullo sfondo della tradizione macchiaiola toscana e della pittura orientalista italo-francese del secondo Ottocento. E sarà un affiancamento di atmosfere che ricorrerà anche nei decenni successivi, a testimoniare la doppia anima (toscana e levantina) dell’artista.
OLTRE LA TELA, LA SPIAGGIA
Pur essendo cittadino del mondo, Levy ebbe con Viareggio, che cominciò a frequentare nei primi anni del Novecento, un rapporto assai profondo, quasi di appartenenza. A dimostrarlo, il lungo soggiorno dal 1916 al 1927, e i frequenti ritorni, fino alla scelta di stabilirsi in Versilia, per trascorrervi gli ultimi anni di vita. Astro nascente della mondanità italiana fra gli Anni Venti e Trenta, la spiaggia versiliese fu uno dei suoi soggetti preferiti, cogliendovi atmosfere del tutto diverse da quelle, silenziose e malinconiche, dei suoi maestri macchiaioli, come Fattori e Signorini. Levy ci parla di un lungo flirt fra la bellezza selvaggia della Versilia e una società ancora capace di innamorarsi di un luogo, di suggerne gli odori, le albe e i tramonti, legandoli a una frenesia, in parte anche illusoria, che riecheggiava l’ambigua Europa fra le due guerre, culturalmente vivace ma politicamente impegnata a scavarsi la fossa. I suoi campi lunghi di taglio cinematografico lo accostano ad Alain Resnais, e il paragone può continuare su quel senso della geometria che caratterizza sia l’approccio del regista francese sia lo stile pittorico di Levy, che nell’immediato primo dopoguerra si interessa al Futurismo, ravvisabile anche nei colorati scorci urbani a piani sovrapposti.
LA FIGURA UMANA
Negli Anni Trenta Levy raggiunse nuove fasi pittoriche: la figura umana assume una maggiore rilevanza rispetto al paesaggio, e a quest’epoca risalgono i primi ritratti in stile romano-secessionista, fra cui quelli di Rèpaci e Pea, protagonisti della Versilia intellettuale dell’epoca. Invece, un vivace tratto espressionista caratterizza le vedute e i paesaggi tunisini e spagnoli, ripresi nel corso di un lungo soggiorno sulle due sponde del Mediterraneo. Ma la novità più importante, che affiora già nei primi anni del decennio, è la scomparsa della segmentazione prismatica del colore, per lasciare spazio a una pennellata “calligrafica”, estremamente libera, che anticipa l’inquietudine degli “artisti di corrente”, fra cui Guttuso e Birolli. La serie della Bagnanti è espressione di questa nuova direzione, applicata più tardi anche ai paesaggi.
Nel 1938, l’introduzione delle leggi razziali costringe Levy a emigrare in Francia, a Nizza, e poi in Tunisia, interrompendo l’idillio versiliese.
DA PICASSO A DE CHIRICO
Instancabile viaggiatore anche fra le esperienze dell’arte, gli ultimi venti anni della carriera di Levy sono particolarmente affascinanti per il respiro che riesce a dare alle sue tele. In Francia approfondisce il lavoro di Picasso, e prende gusto per le monumentali e sensuali figure femminili, immerse non nell’atmosfera familiare di Mougins, ma nella calda sensuale solarità mediterranea, Sul finire del decennio, ormai rientrato a Viareggio, omaggia il de Chirico della “Metafisica continuata”, in particolare con Cavalli sul mare (1946). Qui la spiaggia perde la sua mondanità, e, metafora del dopoguerra, diviene luogo di smarrimento e nostalgia. Il carattere “zingaresco” di Levy emerge, nella piena maturità, nelle grandi tele dedicate al mondo delle giostre, che da un lato gli permettono di tornare ai dinamismi dell’epoca futurista (aggiornati però alla “corrente” di cui sopra), e dall’altro di riprendere quelle atmosfere solari e nomadi della sua infanzia. Ma anche di lanciare un auspicio per il ritorno di un’epoca di pace e serenità.
‒ Niccolò Lucarelli
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