Georges Braque oltre il Cubismo. A Mantova
Palazzo della Ragione, Mantova – fino al 14 luglio 2019. La carriera artistica di Braque raccontata al di fuori dell’ottica cubista, analizzando la sua indipendenza da Pablo Picasso e concentrandosi sulla sua produzione di grafico e ceramista ispirata a poeti e scrittori dell’epoca. 150 opere fra dipinti, disegni, incisioni, stampe, libri d’artista, in un vasto confronto con autori di differenti discipline artistiche, dalla pittura alla poesia. Una mostra prodotta da Electa, in collaborazione con il Kunstmuseum Pablo Picasso di Münster.
“Poesia è ciò che strappa all’esistenza impersonale e meccanica, che lacera il senso usuale delle cose e dona loro nuova vita”; è in queste parole che si ritrova l’essenza dell’arte di Georges Braque (Argenteuil, 1882 ‒ Parigi, 1963), novecentesco argonauta di linguaggi creativi che unisce l’arte visiva alla parola, e la mostra è occasione per scoprirlo nelle sue collaborazioni con scrittori e poeti. Scettico verso il concetto di genialità, poco amico di eccessive sperimentazioni in senso astrattista, si prodigò nella ricerca di vie per ampliare la portata comunicativa dell’arte, partendo dalle emozioni suscitate dal mistero che le cose quotidiane possiedono; un “primitivismo mistico” che stabilisce relazioni intime e salde con la realtà circostante.
OLTRE IL CUBISMO
Tralasciando il noto periodo cubista, la mostra si apre sull’iniziale avvicinamento di Braque a Matisse, nei primi anni del Novecento, per poi proseguire con i cruciali anni fra le due guerre e concentrarsi sulle illustrazioni degli Anni Cinquanta e Sessanta per le opere di Apollinaire, Paulhan, Ponge, e i classici greci. La frequentazione dei fauves rivela sin dagli esordi una spiccata propensione per la libertà creativa. Più che del colore, Braque è artista della forma, di cui quasi con ossessione ricerca la semplicità, che considera la più efficace delle vie espressive. È su questa china che nel 1912 ha l’idea dei papier collé, con cui riporta il mondo del Cubismo verso l’immaginario della natura. Assemblando ritagli di giornale e tela cerata, Braque supera le questioni di stile, e in poche linee essenziali ritorna alla “verità” della forma; opere che già guardano oltre al comune cammino con Picasso, recuperano un rapporto concreto con la realtà, diventano un “parlato figurativo” che ritornerà nelle illustrazioni per l’editoria. Nasce un immaginario costruito su un alfabeto onirico che ricorda, nella concezione, Klee e Chagall, per la sensazione di levità che le figure di Braque comunicano.
Corredando gli scritti di poeti e narratori, più o meno venati di Surrealismo, anarchia creativa, introspezione, le sue figure accompagnano la parola, ne seguono il ritmo e lo spirito, si librano sul filo di una metamorfosi suggerita dall’incontro di corpi, oggetti, forme, che si fondono, giocando con lo sguardo dell’osservatore. Costante la ricerca dell’armonia, cui dona un moderno dinamismo che accentua la levità delle figure, siano esse antropomorfe o zoomorfe, rapite in una danza cosmica che chiude il cerchio con la mitologia inseguita da Blaise Cendrars, di cui non casualmente Braque illustrò alcune raccolte.
LA SCULTURA “RICOSTRUITA”
In occasione della mostra, l’artista Flavio Favelli ha realizzato la celebre Scultura in carta, che Braque fece nel 1914 e che purtroppo andò distrutta poco dopo. Basandosi su una testimonianza fotografica dell’epoca, Favelli restituisce la dimensione concreta di un momento che segnò il passaggio dalla fase sintetica a quella analitica del Cubismo. Un’opera fondamentale per Braque e l’arte europea del Novecento, che scompone un’immagine attraverso la sovrapposizione di sue parti distinte, in cui entra in gioco la tecnica del papier collé. La scultura cubista, con Braque, perde la sua spigolosità geometrica e si fa verso poetico pronto a librarsi nel cielo terso; prototipo della produzione grafica che sarà il simbolo di un’arte libera, in costante volo radente sul pensiero dell’umanità, sua fedele interprete e spunto d’incoraggiamento a varcare confini, a sovrapporre punti di vista (questa la spiegazione della metafora cubista), a superare la conflittualità che dilaniava l’Europa del Novecento.
‒ Niccolò Lucarelli
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